Distanze INVISIBILI
A Davide Livermore riesce il miracolo di nascondere le separazioni fisiche
MACERATA MOZART
DON GIOVANNI
DIRETTORE Francesco Lanzillotta ORCHESTRA Filarmonica Marchigiana REGIA Davide Livermore TEATRO Sferisterio ★★★★
Mesti i pensieri nell’entrare (dopo temperatura, gel, mascherine e tutto l’ambaradan del caso) in uno Sferisterio dove per la prima volta si vedeva più erba che sedie, solo ottocento spettatori ovvero un terzo della capienza. Poche battute, e ci si guarda l’un l’altro spalancando gli occhi. Perché Francesco Lanzillotta non si limita a tenere insieme orchestra e palcoscenico, che è già impresa capace di definirlo bacchetta tecnicamente agguerritissima: di un’opera tra le più complesse musicalmente e tra le più sfuggenti drammaturgicamente, nonostante l’affrontasse per la prima volta non l’esegue bensì l’interpreta. E forse proprio le pesanti limitazioni logistiche hanno portato a uno studio straordinario sulle sfumature dinamiche, sulle agogiche, sugli abbandoni melodici, sempre in strettissima correlazione con la parola. Magnifico accompagnatore, poi, Lanzillotta, di quelli che fanno ricordare la scuola direttoriale antica che è bello constatare come non si sia del tutto perduta: e il cast si merita tale bacchetta, giacché è apparso tra i migliori degli ultimi tempi. Mattia Olivieri debutta Giovanni e mostra già di averne tutti i requisiti (bella voce, ottima tecnica, dizione scolpita, fisico hollywoodiano, fortissimo carisma scenico), candidandosi a esserne l’interprete di riferimento dei prossimi anni. Tommaso Barea canta bene anche lui, e il suo Leporello mostra già una bella personalità. Bravissima Elvira è Valentina Mastrangelo, incisiva e vibrante a fronte della morbida sensualità della Zerlina di Lavinia Bini e della perentoria femminilità di Karen Gardeazabal (unica straniera, ma sembra di madrelingua; e le pestifere colorature spesso richieste a Donna Anna sgranate niente male). Giovanni Sala ha incantato nella prima aria e un po’ meno nella seconda, ma il suo Ottavio è tra i pochi recenti a non far soffrire.
Davide Livermore ha montato uno spettacolo tecnicamente prodigioso: i centodieci metri di muro dello Sferisterio sono coperti dai video che si succedono senza sosta, con effetti inediti e di grandissima suggestione. Ma ha impostato anche una regia vera, che in nessun momento ha fatto pesare il fatto che tutti dovessero distanziarsi tra loro. Intrigante l’ideaperno dell’impossibilità di uccidere il Commendatore ovvero le idee che in lui s’incarnano: muore invece il libertino, ovvero il rivoluzionario Giovanni; che dunque ripercorre la sua vita immaginandosi anche come avrebbe potuto essere, lungo una traiettoria narrativa articolatissima, movimentatissima, ricca d’idee capaci di comunicare la sotterranea ambiguità di tutti i personaggi.