Prospettive
Tra squilli, sibili e rumori sferraglianti, la musica di Ennio Morricone testimonia la sua vicinanza al jazz e alle sue interminabili strade ferrate. Ecco un lato nascosto del compianto maestro delle colonne sonore
Tutti i treni di Ennio Morricone
Secondo Raymond Murray Schafer, studioso delle relazioni fra suoni ambientali e forme musicali, c’è un legame fra le blue notes degli improvvisatori e il glissando dei fischi delle vecchie locomotive a vapore. Doveva pensare proprio a quei fischi il giovane Ennio Morricone che negli anni cinquanta, appena diplomato in composizione, esordiva in formazioni jazz rimuginando gemiti sonori, squilli di tromba e rumori futuristici (alla Russolo) che faranno di lui una firma inconfondibile delle colonne sonore Western di Sergio Leone e poi di film hollywoodiani come Mission di Roland Joffé e The Untouchables di Brian De Palma. Il jazz lo ha visto protagonista nella primavera del 1962 come arrangiatore dell’album Chet Is Back del trombettista statunitense Chet Baker, approdato negli studi romani dalla Rca nel corso di una delle sue ricorrenti frequentazioni italiane. Morricone è sul podio della propria orchestra mentre Baker - già affermato dopo che Charlie Parker lo aveva lanciato dieci anni prima, si presenta anche in veste di cantante nel song da lui composto I Know I Will Lose You, pubblicato in Italia come 45 giri nella versione tradotta So che ti perderò. L’album è stato ripubblicato nel 2003. “Nella mia carriera ho musicato diverse scene ambientate nella ferrovia”, scrive Morricone nella prefazione a Il treno dei desideri di Paolo Prato rievocando i tempi della sua collaborazione con il jazz. Si tratta di “due casi da me voluti e realizzati che meritano di essere ricordati in quanto esemplificano un’idea compositiva basata sul ‘suono dei treni’ vero e proprio”, precisa. Cominciamo dal primo. “È il film di Aldo Lalo dal titolo l’ultimo treno della notte (1975) per il quale ricordo di aver sovrapposto un’orchestra al suono ritmico di un treno lanciato a gran velocità”. Con i mezzi analogici dell’epoca il compositore si prepara al colpo felino: “Dopo aver registrato su quattro piste magnetiche un breve ‘anello’
contenente il suono di un convoglio ferroviario con gli scambi e gli scarti che normalmente il treno incontra sulle rotaie, ho sovrapposto l’orchestra sulle altre piste”, spiega come si trattasse di un gioco da ragazzi. Morricone e il regista devono allinearsi: “Il film era drammaticissimo”, continua, “e le musiche sovrapposte a ‘quel ritmo’ erano a loro volta volutamente traumatiche, come le immagini richiedevano”. Stesso metodo per il secondo film - Mosca addio (1986) di Mauro Bolognini - che Morricone mette in cima alla lista delle opere legate al suono del treno. “In questi due esempi che mi è sembrato bene ricordare”, continua, “il treno non fa parte dei ‘rumori’ effettivi del film ma entra nella realtà sonora della partitura musicale, come una ‘percussione’ scritta dal compositore”. “La varietà dei suoni prodotti da un treno”, conclude, “fa sì che questo non rappresenti solo una fonte d’ispirazione qualsiasi ma una sorgente sonora molto particolare che da oltre centocinquanta anni continua ad affascinare i musicisti”. Il fil rouge del treno ci è sembrato il miglior modo per cogliere il lato immortale della musica di Ennio Morricone - scomparso all’età di 91 anni il 6 luglio scorso a Roma, dov’era nato il 10 novembre del 1928. Un “treno dei desideri” - per dirla con un verso celebre della canzone dell’avvocato di Asti Paolo Conte - che trova conferma nell’onomatopeico Honky Tonk Train Blues (1927) di Meade Lux Lewis. Con Take di ‘A’ Train (1939) di Billy Strayhorne, pianista di Duke Ellington, si scopre poi che il jazz è l’apoteosi della musica ferroviaria: “Hurry, get on board it’s coming... Listen to those rails a-thrumming...” (“Presto sali a bordo… Ascolta quelle rotaie che vibrano…”), canta il testo inserito da Lee Gaines su quella melodia. Il jazz evoca meglio di ogni altra musica il clic-clac delle ruote quando passano sulle giunture dei binari. A impressionare è la somiglianza con la tecnica della batteria, soprattuto il flam della rullata e il paradiddle, la diteggiatura batteristica che alterna due note da una mano all’altra. Un binomio treno-ferrovia che ha attraversato memoria e fantasia di compositori, registi e cantautori, da Berlioz a Cage, da Duke Ellington alla Long Train Running della rock band dei Dobbie Brothers. Un simbolo ricorrente nella cultura musicale d’oltreoceano. Secondo Albert Murray - letterato afroamericano influente su opinionisti quali Stanley Crouch, attivo nei movimenti per i diritti civili, e musicisti di solida tradizione come Winton Marsalis - il treno arriverebbe a rappresentare il concetto di “viaggio verso la libertà”. Un mezzo che ha permesso agli afroamericani di lasciare gli stati schiavisti del Sud per migrare verso Chicago e New York, le mete progressiste che il Nord prometteva, non soltanto per quanto riguarda la musica. Il jazz, ma più in generale la musica contemporanea, ha saputo sfruttare la cadenza ritmica suggerita dal suono prodotto dal treno in movimento. Ne è un esempio vincente Different Trains, opera di Steve Reich che nel 1989 con il Kronos Quartet si aggiudicò il Grammy come miglior opera contemporanea. Per il jazz in senso stretto, fra i brani che alludono allo sferragliare dei convogli, oltre al già citato boogie-woogie di Med Lewis, si trova l’Hobo, You Can’t Ride This Train di Louis Armstrong (1932), che narra di un vagabondo che adotta uno stile di vita selvaggio alla maniera dei cowboy del West italico morriconiano. Come nel mondo ideato da Sergio Leone, dove gli anarchici sono la cartina di tornasole, l’Hobo di Armstrong si muove fra disoccupati in cerca di lavori stagionali e orfani che viaggiano per gli Stati Uniti imbarcandosi clandestinamente sui treni merci. Il jazz orchestrale di Duke Ellington, grande osservatore e ottimo narratore, mostra una particolare attenzione per il suono del treno. Nella prima metà degli anni trenta il Duca nero mette in musica Daybreak Express sfoggiando l’eccezionale varietà di colori fornita dai quattordici elementi della sua big band. A seguire ci sono i boppers, pronti a reinterpretare il tema con la Locomotive che Thelonious Monk firma nel 1954. Nel 1987 il chitarrista compositore statunitense Pat Metheny scrive e incide con il suo gruppo Last Train Home. E alle soglie del nuovo millennio a ritrovare il filo conduttore è il trombettista di New Orleans Wynton Marsalis con due composizioni: Express Crossing e Big Train (1999).