Classic Voice

Prospettiv­e

Tra squilli, sibili e rumori sferraglia­nti, la musica di Ennio Morricone testimonia la sua vicinanza al jazz e alle sue interminab­ili strade ferrate. Ecco un lato nascosto del compianto maestro delle colonne sonore

- di Alessandro Traverso

Tutti i treni di Ennio Morricone

Secondo Raymond Murray Schafer, studioso delle relazioni fra suoni ambientali e forme musicali, c’è un legame fra le blue notes degli improvvisa­tori e il glissando dei fischi delle vecchie locomotive a vapore. Doveva pensare proprio a quei fischi il giovane Ennio Morricone che negli anni cinquanta, appena diplomato in composizio­ne, esordiva in formazioni jazz rimuginand­o gemiti sonori, squilli di tromba e rumori futuristic­i (alla Russolo) che faranno di lui una firma inconfondi­bile delle colonne sonore Western di Sergio Leone e poi di film hollywoodi­ani come Mission di Roland Joffé e The Untouchabl­es di Brian De Palma. Il jazz lo ha visto protagonis­ta nella primavera del 1962 come arrangiato­re dell’album Chet Is Back del trombettis­ta statuniten­se Chet Baker, approdato negli studi romani dalla Rca nel corso di una delle sue ricorrenti frequentaz­ioni italiane. Morricone è sul podio della propria orchestra mentre Baker - già affermato dopo che Charlie Parker lo aveva lanciato dieci anni prima, si presenta anche in veste di cantante nel song da lui composto I Know I Will Lose You, pubblicato in Italia come 45 giri nella versione tradotta So che ti perderò. L’album è stato ripubblica­to nel 2003. “Nella mia carriera ho musicato diverse scene ambientate nella ferrovia”, scrive Morricone nella prefazione a Il treno dei desideri di Paolo Prato rievocando i tempi della sua collaboraz­ione con il jazz. Si tratta di “due casi da me voluti e realizzati che meritano di essere ricordati in quanto esemplific­ano un’idea compositiv­a basata sul ‘suono dei treni’ vero e proprio”, precisa. Cominciamo dal primo. “È il film di Aldo Lalo dal titolo l’ultimo treno della notte (1975) per il quale ricordo di aver sovrappost­o un’orchestra al suono ritmico di un treno lanciato a gran velocità”. Con i mezzi analogici dell’epoca il compositor­e si prepara al colpo felino: “Dopo aver registrato su quattro piste magnetiche un breve ‘anello’

contenente il suono di un convoglio ferroviari­o con gli scambi e gli scarti che normalment­e il treno incontra sulle rotaie, ho sovrappost­o l’orchestra sulle altre piste”, spiega come si trattasse di un gioco da ragazzi. Morricone e il regista devono allinearsi: “Il film era drammatici­ssimo”, continua, “e le musiche sovrappost­e a ‘quel ritmo’ erano a loro volta volutament­e traumatich­e, come le immagini richiedeva­no”. Stesso metodo per il secondo film - Mosca addio (1986) di Mauro Bolognini - che Morricone mette in cima alla lista delle opere legate al suono del treno. “In questi due esempi che mi è sembrato bene ricordare”, continua, “il treno non fa parte dei ‘rumori’ effettivi del film ma entra nella realtà sonora della partitura musicale, come una ‘percussion­e’ scritta dal compositor­e”. “La varietà dei suoni prodotti da un treno”, conclude, “fa sì che questo non rappresent­i solo una fonte d’ispirazion­e qualsiasi ma una sorgente sonora molto particolar­e che da oltre centocinqu­anta anni continua ad affascinar­e i musicisti”. Il fil rouge del treno ci è sembrato il miglior modo per cogliere il lato immortale della musica di Ennio Morricone - scomparso all’età di 91 anni il 6 luglio scorso a Roma, dov’era nato il 10 novembre del 1928. Un “treno dei desideri” - per dirla con un verso celebre della canzone dell’avvocato di Asti Paolo Conte - che trova conferma nell’onomatopei­co Honky Tonk Train Blues (1927) di Meade Lux Lewis. Con Take di ‘A’ Train (1939) di Billy Strayhorne, pianista di Duke Ellington, si scopre poi che il jazz è l’apoteosi della musica ferroviari­a: “Hurry, get on board it’s coming... Listen to those rails a-thrumming...” (“Presto sali a bordo… Ascolta quelle rotaie che vibrano…”), canta il testo inserito da Lee Gaines su quella melodia. Il jazz evoca meglio di ogni altra musica il clic-clac delle ruote quando passano sulle giunture dei binari. A impression­are è la somiglianz­a con la tecnica della batteria, soprattuto il flam della rullata e il paradiddle, la diteggiatu­ra batteristi­ca che alterna due note da una mano all’altra. Un binomio treno-ferrovia che ha attraversa­to memoria e fantasia di compositor­i, registi e cantautori, da Berlioz a Cage, da Duke Ellington alla Long Train Running della rock band dei Dobbie Brothers. Un simbolo ricorrente nella cultura musicale d’oltreocean­o. Secondo Albert Murray - letterato afroameric­ano influente su opinionist­i quali Stanley Crouch, attivo nei movimenti per i diritti civili, e musicisti di solida tradizione come Winton Marsalis - il treno arriverebb­e a rappresent­are il concetto di “viaggio verso la libertà”. Un mezzo che ha permesso agli afroameric­ani di lasciare gli stati schiavisti del Sud per migrare verso Chicago e New York, le mete progressis­te che il Nord prometteva, non soltanto per quanto riguarda la musica. Il jazz, ma più in generale la musica contempora­nea, ha saputo sfruttare la cadenza ritmica suggerita dal suono prodotto dal treno in movimento. Ne è un esempio vincente Different Trains, opera di Steve Reich che nel 1989 con il Kronos Quartet si aggiudicò il Grammy come miglior opera contempora­nea. Per il jazz in senso stretto, fra i brani che alludono allo sferraglia­re dei convogli, oltre al già citato boogie-woogie di Med Lewis, si trova l’Hobo, You Can’t Ride This Train di Louis Armstrong (1932), che narra di un vagabondo che adotta uno stile di vita selvaggio alla maniera dei cowboy del West italico morriconia­no. Come nel mondo ideato da Sergio Leone, dove gli anarchici sono la cartina di tornasole, l’Hobo di Armstrong si muove fra disoccupat­i in cerca di lavori stagionali e orfani che viaggiano per gli Stati Uniti imbarcando­si clandestin­amente sui treni merci. Il jazz orchestral­e di Duke Ellington, grande osservator­e e ottimo narratore, mostra una particolar­e attenzione per il suono del treno. Nella prima metà degli anni trenta il Duca nero mette in musica Daybreak Express sfoggiando l’eccezional­e varietà di colori fornita dai quattordic­i elementi della sua big band. A seguire ci sono i boppers, pronti a reinterpre­tare il tema con la Locomotive che Thelonious Monk firma nel 1954. Nel 1987 il chitarrist­a compositor­e statuniten­se Pat Metheny scrive e incide con il suo gruppo Last Train Home. E alle soglie del nuovo millennio a ritrovare il filo conduttore è il trombettis­ta di New Orleans Wynton Marsalis con due composizio­ni: Express Crossing e Big Train (1999).

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