SCUSATE l’attesa
Lang Lang avrebbe tutto quel che serve per scatenare le perplessità di una buona fetta del pubblico classico ed esaltare l’altra metà. Una popolarità da rockstar, ricchi contratti con sponsor che commercializzano prodotti a lui dedicati e la propensione innata a mescolare “sacro” e “profano”. Vi si aggiungano un controllo tecnico della tastiera prodigioso - ma, dice qualcuno, vagamente robotico - e una personalità interpretativa incline alla ricerca dell’espediente espressivo, sia musicale che mimico, estremo. Insomma è il classico artista su cui grava una mole di pregiudizi, non necessariamente negativi, e fattori confondenti tali da indirizzare le opinioni di molti appassionati, anche tra i più lucidi, ben oltre il solo fattore artistico. Non che tutto ciò gli abbia impedito di collaborare con le personalità più ricercate del panorama odierno e di guadagnarsi l’entusiasmo delle sale da concerto in cui ogni musicista sogna di suonare: “Christoph Eschenbach, Simon Rattle, Zubin Mehta, il maestro Chailly, Paavo Järvi, Antonio Pappano, Gustavo Dudamel, direi che sono questi i direttori con cui ho un rapporto di collaborazione più intenso”, assicura. Dopo una pausa forzata di quindici mesi, dovuta a una tendinite al braccio sinistro, Lang Lang è tornato a esibirsi con regolarità lo scorso anno e ora ritorna anche sugli scaffali con Deutsche Grammophon in una sfida al sacro che più sacro non si può: la Variazioni Goldberg di Bach, in doppia incisione, dal vivo (nella Thomaskirche di Lipsia) e in studio.
Considera Bach un punto di arrivo?
“Mi era capitato di affrontare qualche breve lavoro di Bach in precedenza,
Dalla pausa forzata per una tendinite alla sfida più arda di Lang Lang: le Variazioni Goldberg. “Le preparo da quando ero bambino. Harnoncourt mi ha illuminato”. Il ritratto di una star che cambia volto