La donna è IMMOBILE A Firenze lo storico “Rinaldo” riallestito da Pizzi (museale) e il debutto di un nuovo astro della bacchetta
della partitura (che sarebbe quella del 1731, ma con frequenti imprestiti dalla prima del 1711), il cui livello si manterrebbe invece costantemente altissimo. Arie dislocate da una posizione all’altra, senza che alcuna giustificazione registica possa non dico farla accettare, ma anche solo proporla come idea purchessia. Arie traferite da un personaggio all’altro, alterandone in modo significativo il profilo psicologico, che in tal modo vede appiattirsi una complessità che Handel costruisce invece sapientissimamente (è il caso di Armida, privata di un’aria che ne evidenzierebbe il lato patetico e sentimentale, trasferita ad Almirena che già ne ha diverse, sicché la maga si circoscrive a esagitata virago: strepitosa, ma incompleta). E così via. Certo, l’immobilità di tutti, bloccati e lontani tra loro sui quattro cavalloni o in posa su cubi mobili portati in giro dai nerovestiti servi di scena: ideale, in tempo di Covid. Ma ormai, dopo 35 anni, quei mantelloni svolazzanti ad infinitum; quell’immobilità esibita; quell’assenza volutamente ricercata e sottolineata d’ogni intreccio drammaturgico (che invece, abbia pazienza il nonagenario Pizzi, ma c’è e ormai ce l’hanno fatta vedere innumerevoli volte nel corso di questi sette lustri): tutto questo, già dopo un quarto d’ora stucca e fa di continuo rammentare il grande Eduardo con il suo “abbondanza di sazietà”.
Sul fronte musicale, indubbia la competenza e bravura di Federico Maria Sardelli, che fa suonare senz’altro assai bene l’orchestra fiorentina anziché la sua Modo Antiquo: un filo rigidina, tuttavia, sempre restia a lasciare mano libera nell’agogica che questo repertorio - anche questo l’abbiamo ormai assodato tante volte invece sollecita essendo proprio perciò una delle ragioni per le quali esso è oggi il più contemporaneo che ci sia. “Il tempo non esiste”, ricordo che soleva dire ai suoi cantanti Bruno Campanella all’inizio delle prove rossiniane: ancor più sacrosanta indicazione, mi pare, per il barocco in generale e in particolare per il suo massimo vertice costituito da Handel.
Invito che secondo me avrebbe aperto ali ancora maggiori a un cast nel suo complesso assai buono. Raffaele Pe è uno dei maggiori protagonisti odierni della corda controtenorile: linea ampia, insolitamente robusta e di bellissimo colore; estrema precisione e musicalità nello sgranare i passi di coloratura, cui l’idiomaticità linguistica accentua la propensione a dare significato espressivo anziché di belluria autoreferenziale; e si sa da precedenti prove che saprebbe pure recitare un gran bene, se solo gli si desse qualcosa da fare. L’altro vertice del cast è Carmela Remigio: proverbiali la smaltatura, morbidezza, omogeneità d’una linea la cui emissione è da manuale del belcanto, e la cui musicalità è di livello strumentale; fraseggio sfrangiatissimo che crea un caleidoscopio sempre cangiante di colori e accenti, scolpendo le consonanti anche nelle più infernali girandole virtuosistiche e ad esse conferendo quindi strepitoso risalto espressivo. Dopo le perplessità suscitate a Martina Franca, è un piacere riascoltare la linea bella, duttile, fascinosa di Francesca Aspromonte cui manca solo un pizzico di spericolatezza, sacrificata spesso a un riserbo aristocratico sì, ma col rischio - senz’altro accentuato dallo spettacolo - della monotonia. Un po’ a scartamento ridotto la debordante figura
Klaus Mäkelä del Maggio musicale fiorentino del Teatro del Maggio
★★★
Prima del concerto che avrebbe proiettato al debutto italiano il ventiquattrenne finlandese Klaus Mäkelä (dal 202223 successore di Harding all’Orchestre de Paris), Alexander Pereira ha detto di aver scoperto “un genio” e che a Firenze senz’altro
il pupillo tornerà, “quasi di sicuro anche all’opera”. Certo, debutto meteorologicamente peggiore non si poteva immaginare, perché sulla Cavea del Maggio l’8 settembre infuriava un vento degno di Urano, che rendeva vano persino l’ancoraggio delle mollette sugli spartiti. Peccato, perché il biglietto da visita del finlandese era il rarefatto Tapiola, poema sinfonico dell’estremo Sibelius, scritto nel 1926 poco prima del silenzio (editoriale, ma non creativo) che lo avvolgerà negli ultimi trent’anni di vita. Nella mitologia finnica, Tapio è il dio delle foreste che vive in un fitto di Argante, che Andrea Patucelli canta molto bene ma al canto troppo si limita; così come Leonardo Cortellazzi compita diligentemente ma senza troppa fantasia espressiva le arie di Goffredo.
Al di là però dell’operazione d’archeologia in sé parecchio inutile, un’utilità questo spettacolo ce l’ha: faranno finalmente un dvd di questo spettacolo, rendendolo quindi quello che solo lo giustifica, ovvero documento d’una tappa importante nella storia esecutiva del grande teatro barocco. Che adesso è cosa teatrale del tutto diversa, ma è utile si conoscano le pietre miliari poste sul suo fascinoso cammino. intrico di vegetazione (sembra la biografia di Sibelius stesso), ma più che gli alberi vi si deve percepire l’aria fredda e condensata che vi passa attraverso, come un’esalazione della natura. E Mäkelä ha ben presente questo aspetto, perché nella sua direzione non c’è nulla di descrittivo, ma tanto di evocativo, e le variazioni sulle quali è imperniato il poema sono attraversate senza urgenza di uscire dal labirinto, con un’arte incantatoria che evita i colorismi sterili. Lo stesso approccio avviene in Mahler, dove la Natura è sempre protagonista, ma in senso teatral-drammatico.
Il finlandese coglie subito l’aspetto cardine della “Titano” e sebbene si innamori molto di alcuni dettagli, sbalzandoli talvolta vistosamente a scapito dell’ecosistema che li fa vivere, sa senza dubbio infondere ampiezza dinamica e respiro drammatico a una sinfonia in cui si deve cogliere - e qui si coglie - lo “pneuma” della Natura. Poca Vienna, insomma, e molta Bad Ischl. Accoglienza strepitosa, pubblico in piedi per un direttore che sta bruciando tappe a ritmi vertiginosi, ma non immeritati, almeno a giudicare dalla sua prima apparizione italiana.