Um-pa-pà TEATRALE Michele Mariotti plasma gli accompagnamenti dell’opera più “cantata” di Verdi sul respiro drammatico e sulla psicologia dei personaggi
Verdi - di un’orchestra che canta cantando sempre assieme ai solisti, spronati accompagnati sostenuti come meglio sarebbe difficile ipotizzare: perché tutto questo, se è fondamentale sempre, è conditio sine qua non per il primo Verdi del quale appunto, e questa ne è ennesima, portentosa conferma, Mariotti è oggi l’interprete ottimo massimo.
Piero Pretti ed Eleonora Buratto debuttano Ernani ed Elvira piazzandosi da subito tra gli interpreti di rifermento. Lui lo canta da Edgardo in ritardo anziché da Alvaro in anticipo, sicché alla natura squisitamente lirica d’una tessitura pensata dopotutto per quel Carlo Guasco che cantava Rossini e Paisiello, rendono piena giustizia questo chiaroscuro continuo della dinamica, quest’accento sempre austero e vibrante anche nel più sfumato dei pianissimi, questi scatti luminosi e compatti nel registro acuto, valorizzato drammaturgicamente proprio dalla varietà dinamica su cui svetta. Lei, alle prese con una scrittura ancora più scabrosa, procede su binari strettamente paralleli che ancor più fanno risaltare la smaltata bellezza timbrica: emissione tutta sul fiato quindi morbida e omogenea da gravi gonfi d’armonici ad acuti di raggiante pienezza; coloratura sgranata con precisione ma nessuna meccanicità in un costante fraseggiare che la rende parte integrante della natura del personaggio; legati d’alta scuola su cui incidono accenti di dolente ma mai inerte melanconia. Il loro duettino “Ah morir potessi adesso”, reso lancinante dal rispetto scrupolosissimo delle indicazioni dinamiche, resterà tra le pagine più auree dei nostri giorni. Vladimir Stoyanov sostituiva il previsto Amartuvshin Enkhbat, bloccato in patria dai protocolli sanitari: questi difficilmente avrebbe trovato la varietà d’accenti e il così giusto tono di austero riserbo espressivo che Verdi prescriverebbe. Roberto Tagliavini ha un fior di voce, sicurissima su e un po’ vuota giù, e canta benissimo quantunque un po’ più di sicurezza musicale e di varietà accentale non guasterebbero. E poi il coro di Martino Faggiani. Indirizzargli lodi significa portare ulteriori vasi ad una Samo già intasatissima: ma come ha schivato ogni roboante belluria quarantottesca intonando sulle ribollenti terzine dell’orchestra un “Leon di Castiglia” tutto sussurri e lampi di minaccia… indimenticabile.