Le star DEL FIORDO
A Oslo il concorso vocale “Queen Sonja” è una fabbrica di talenti. Qui sono “nati” i fenomeni Davidsen e Sierra. La vittoria è andata all’americana Jasmin White
Queen Sonja Singing Competition orcHestra Den Norske Opera direttore James Gaffigan luogo Operahuset
L’assenza di una tradizione consolidata non è necessariamente un male, soprattutto per chi ha i mezzi per creare una storia nuova partendo dal livello zero e le idee giuste per farlo in modo innovativo. È il caso della Norvegia, che un vero retroterra operistico non ce l’ha, ma dove non manca la voglia di mettersi in pari per guadagnare un posizionamento nel mercato internazionale con modelli alternativi. L’emblema più luminoso di questa renaissance operistica scandinava è la Oslo Operahuset, sede della Norske Opera dal 2008, un colosso costruito sull’acqua e rivestito di marmo di Carrara che pare un iceberg arenato nel fiordo. Con un lato rivolto al mare e l’altro verso Kirsten Flagstads Plass, la piazza dedicata alla massima gloria canora della città, il Teatro dell’Opera di Oslo è un meraviglioso adolescente ancora in cerca della sua identità, con spazi immensi e una tecnologia scenotecnica d’avanguardia in grado di accogliere qualsiasi tipo di produzione. Tra balletti e spettacoli in rotazione, sul palco della Norske Opera è passata anche la fase finale della “Queen Sonja Singing
Competition”. Nata come gara pianistica poi convertita al canto in memoria della della stessa Flagstad, la Queen Sonja da decenni battezza star in ascesa. Ne sono uscite Nadine Sierra, Lise Davidsen, Elsa Dreisig, Measha Brueggergosman, Marita Sølberg, il tenore italiano Giovanni Sebastiano Sala e molti altri che calpestano i palcoscenici dei più importanti teatri del mondo. Le ragioni del successo sono grossomodo due. La prima è strategica, infatti il concorso non è la classica competizione tra cantanti esclusivamente su presupposti tecnico-vocali, ma allarga lo spettro anche agli aspetti complementari che concorrono a determinare il profilo di un cantante d’opera del terzo millennio. È in tal senso emblematica la selezione dei giurati, non cantanti ma manager, direttori artistici e responsabili del casting dei teatri, di fatto quelli che firmano i contratti. Il più noto della lista è Stefan Herheim, geniale regista e Intendant del Theater an der Wien, ma ci sono anche esponenti delle direzioni dei principali teatri d’opera di New
York, Zurigo, Washington e Amsterdam, oltre chiaramente alla stessa Norske Opera rappresentata dalla “Opera director” Randi Stene. La seconda peculiarità è l’aspetto formativo. Ai partecipanti, selezionati tra oltre 500 candidati da tutto il mondo, vengono sottoposti a workshop che ne affinano le qualità attoriali e musicali, ma anche le competenze linguistiche e la varietà del repertorio. Scrematura dopo scrematura s’è arrivati al sestetto di finalisti per il concerto conclusivo diretto da James Gaffigan e presentato proprio da Lise Davidsen, la primadonna norvegese che della Flagstad ha raccolto l’eredità. La vincitrice dell’edizione 2023 è Jasmin White, contralto americano di voce e figura giunoniche il cui caso è emblematico delle sfide cui sottopone il concorso. A lei, come agli altri, è imposto di cantare nel corso della preparazione in almeno 3-4 lingue diverse e altrettanti repertori, dal barocco al contemporaneo, dal Belcanto al Lied. È la stessa giuria a distribuire i brani, con alterna benevolenza e talvolta non senza un pizzico di sadismo. Ebbene, White, “canna” maestosa ma ancor poco versatile, dimostra quanto si possa eccellere in pagine adatte alle proprie peculiarità tecnico-espressive nel suo caso un monologo di Erda dall’Oro del Reno trivellato in ogni sillaba - e affondare allorché si esce dalla comfort zone, con un Handel di Semele troppo pasticciato nei passaggi più agili e disomogeneo per emissione, eppure accolto trionfalmente da un pubblico norvegese molto più caldo di quanto ci si aspetterebbe. Aksel Daveyan (secondo classificato) e Navasard Hakobyan sono due baritoni armeni simili nella fisionomia fisica e vocale: strumenti doviziosi per volume e pasta, gusto da rifinire un po’. Promette bene anche il terzo classificato, il controtenore tedesco Nils Wanderer con il suo colore dai risvolti baritonali nel registro grave, più assimilabile alle voci acute maschili che alla pasta sopranile vera e propria, a suo agio tanto nel monologo del Ragazzo di Written on Skin di Benjamin che come Tolomeo (Handel). La più giovane, Rebecka Wallroth, è un mezzosoprano svedese ancora acerbo ma dai grandi margini di crescita, il cui unico peccato è l’esser arrivata un po’ troppo presto all’appuntamento. Ha notevoli risorse espressive, a dispetto di una voce non straripante, anche l’ucraino Vladyslav Tlushch, terzo e ultimo baritono in gara.