Dov’era non COM’ERA
Quarant’anni dopo la “tragedia dell’ascolto”
Nono proMeteo
interpreti/solisti L. Rado, R. Angotti, M. Rencinai, R. Fabbriciani, G. Schiaffini, M. M. Rossi
Chiesa San Lorenzo
Tragedia dell’ascolto. “Tragedia” nel senso di dran, momento delle decisioni irrevocabili, come ha spiegato Massimo Cacciari, curatore dei testi e “ideologo” del Prometeo di Luigi Nono. L’Archivio storico della Biennale di Venezia, in occasione del quarantennale della “prima”, lo ha riproposto nella sconsacrata chiesa di San Lorenzo dove fu allestito la prima volta. “Dov’era” quindi, ma non proprio “com’era”, dato che la cosiddetta arca costruita da Renzo Piano per accogliere musicisti e pubblico in una sorta di guscio interno giace semi distrutta in un deposito milanese. L’occasione per riascoltare questa non-opera di nuovo teatro musicale era ghiotta. Senza confondersi però: Prometeo chiudeva un’epoca, anche se ha fecondato quella in cui ora viviamo. E ci ha insegnato ad ascoltare, a tendere l’orecchio senza pregiudizi. Non è un ascolto mistico quello a cui ci chiamano Nono e Cacciari. La grammatica sonora fatta di una trama complessa che sovrappone voci parlate, cantate da solisti e coro, solisti e gruppi orchestrali, tutti disposti in uno spazio tridimensionale (e a San Lorenzo dunque anche verticale), oltre che filtrati, manipolati e proiettati nel tempo dal live electronics, va decifrata e compresa. Siamo chiamati a una percezione attiva, umanistica. Per questo la mancanza dell’arca sopraelevata si fa sentire: la chiesa è infatti divisa da un muro/altare in due emicicli separati, che solo elevando la posizione degli ascoltatori comunicano e si ricongiungono. A “terra”, dove questa volta sono sistemati, l’orizzonte auditivo è limitato, parziale: le orecchie non hanno sufficiente “sguardo”. Compensa la straordinaria esecuzione di Marco Angius (con Filippo Perocco) alla testa della OpV, del coro del Friuli Venezia Giulia, del Centro padovano di Sonologia guidato dal mago Alvise Vidolin.
A.E.