Estasi barocca
Un gioiello nascosto nella casbah della città siciliana
BASSORILIEVI E LUCENTI STATUE si intrecciano a minuziosi decori e raffinati affreschi. Un popolo di marmo e stucco sgorga letteralmente dalle pareti della navata scandite da otto cappelle votive, traboccanti di simboli e narrazioni a tema sacro. La chiesa di San Francesco, a Mazara del Vallo, è il trionfo di un iperbarocco siciliano. Unica e irripetibile nel suo mélange di stili. Ci si arriva dopo aver percorso il dedalo di tortuose stradine della casbah, dentro le mura della città medievale, passando sotto archi, tra case saracene, cortili e lavatoi. L’edificio richiama l’architettura arabo-normanna – è un cuboide abbellito da un elegante portale – dal quale svetta la massiccia e quadrata torre campanaria con una guglia a piramide rivestita di ceramica turchese. La chiesa fu costruita nell’XI secolo per volontà di Ruggero d’Altavilla, conquistatore e primo Conte di Sicilia, sulle vestigia di un tempio dedicato a San Biagio, martire armeno. L’annesso convento (di cui oggi si può apprezzare solo il chiostro colonnato) venne edificato nel 1216 su iniziativa del beato Angelo da Rieti, uno dei primi discepoli del Poverello di Assisi mandato dai frati in missione nell’isola. In origine la chiesa aveva tre navate, due campanili e un aspetto assai sobrio. Fu il futuro vescovo di Mazara, Francesco Maria Grifeo (appartenente all’ordine francescano), a trasformarla più di quattro secoli dopo in un gioiello barocco con interventi rivoluzionari: fece abbattere le due navate laterali e uno dei due campanili, fece rialzare la parte
centrale dell’edificio e coprirla con una volta a botte lunettata. Poi, per adeguare anche questo luogo di culto mazarese ai canoni della riforma tridentina (siamo nel 1680) – la quale prospettava l’arte barocca come strumento di apostolato – ecco l’ultima idea: chiamare il maestro Giacomo Serpotta, insigne scultore e stuccatore palermitano, inventore della tecnica detta “allustratura” (lucidatura del marmo) per realizzare l’iconografia plastica e gli ornamenti. Lavoro che egli fece con la sua scuola e la mano di Pietro Orlando dando forma perfetta a figure allegoriche, il Cristo, gli angeli, i putti, i padri della Chiesa, le Virtù cardinali, con l’addobbo di panneggi finemente ricamati e i classici festoni di frutta e fiori. Racconti di marmo e di stucco. E pittati. Come quello della vita di San Francesco dipinta dai trapanesi Felice e Scannatello nei tre grandi medaglioni sul soffitto, con l’Immacolata avvolta di luce e la Santissima Trinità. Statue e dipinti che parlano al popolo, come in un film a tre dimensioni, fermo immagine. Un narratum affascinante che avvolge e travolge il fedele e il visitatore in un pathos a cui è difficile sottrarsi.