Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA NAPOLI CHE RISORGE È SOLO EFFERVESCENZA NON SEGNALI PER IL FUTURO
Per quanto sia stata stimolante la discussione sulla rinascita di Napoli, avviata da questo giornale, non credo che essa aiuti a capire se la città stia o non stia uscendo dal declino che da decenni ne ha bloccato lo sviluppo. Certo i segnali cui si accenna nella discussione, come ad esempio la nascita di nuovi linguaggi, l’entusiasmo per la cultura , l’aumento degli arrivi turistici (perché si tratta di arrivi e non di presenze) o anche la festosità che viene accesa dal Comune a giorni alterni sul lungomare liberato, tutte queste cose sono sicuramente suggestive e fanno anche pensare, ma è difficile considerarle segnali di qualcosa che possa riguardare il futuro di questa città. Probabilmente si tratta solo di effervescenza collettiva prodotta dall’aumento della comunicazione e dalle politiche di immagine tanto care agli amministratori locali. D’altronde i fenomeni collettivi spesso nascono e si autoalimentano senza alcuna ragione se non quella di convincere la gente a fare tutto ciò che fanno gli altri. Basti riflettere sul fatto che l’invenzione di Nicolini delle “notti romane” che, come è noto, ebbe tanto successo da far pensare seriamente alla rinascita di Roma, si sviluppò proprio negli anni in cui l’amministrazione della città iniziava quel micidiale percorso criminale culminato poi con “mafia capitale”. Questo per dire quanto i fenomeni espressivi che maturano nelle città siano separati dalla realtà e quindi quanto poco siano affidabili. Naturalmente è sempre utile tenerli d’occhio, stando però sempre attenti a non attribuirgli significati che non possono avere. Insomma, è molto improbabile che un aumento dei visitatori dei musei di una città o la diminuzione del numero dei writer o l’aumento delle vendite di pizze o altre cose del genere se si vendono più pizze o altre cose del genere possano avere qualche effetto sullo stato di una città. Pensare il contrario potrebbe portare a conclusioni assai poco discutibili, come è accaduto al sindaco di Napoli che qualche settimana fa ha detto che Napoli dovrebbe essere fiera di avere sottratto a Milano il primato della pizza più lunga. Insomma, sono le variazioni delle condizioni di vita di una popolazione e non le variazioni dei suoi stili di vita a poterci dire qualcosa sullo stato di salute delle città. E sotto questo aspetto si delinea a Napoli un tale divario tra l’ottimismo che sembrerebbe emergere dalle variazioni degli stili di vita dei napoletani e il pessimismo che invece trabocca dalle variazioni delle loro condizioni di vita, da rendere impossibile ogni tipo di previsione sul futuro della città. D’altronde, se così non fosse non si potrebbe in alcun modo spiegare come mai una città come Napoli che, a partire dall’amministrazione di Bassolino e fino a quella di de Magistris, ha investito nelle politiche d’immagine una gigantesca quantità di risorse, si trovi oggi in una penosissima condizione economica e con previsioni nerissime sul suo futuro. Si deve allora pensare che il vero nodo della questione siano proprio le politiche d’immagine, le quali non sono che un trucco utilizzato spesso dagli amministratori locali e che consiste nel rovesciare la lista delle priorità dell’amministrazione in modo da potersi dedicare anima e corpo ad attività inutili e frivole come appunto sono le politiche d’immagine e di porre in secondo piano gli interventi essenziali per la città, dando così ai cittadini l’impressione di una intensa laboriosità amministrativa.
L’immagine I fenomeni collettivi convincono la gente a fare tutto ciò che fanno gli altri