Corriere del Mezzogiorno (Campania)
SESSO E WEB DALLA LIBERAZIONE ALLA PRIGIONE
C’è una canzone che fece da spartiacque tra due epoche, una considerata sessuofobica e una disinibita. È Je t’aime .... moi non plus, scritta e interpretata da Serge Gainsbourg, cantautore, poeta, pittore, attore e regista francese, e Jane Birkin, attrice e cantante britannica nonché, all’epoca, sensualissima giovane donna. Cinque milioni di copie vendute tra dischi ufficiali e clandestini, dato che il brano fu censurato in alcuni paesi tra cui l’Italia. È stata la prima orgasmo song. Ne arrivarono poi molte altre. Oggi è acqua fresca, ma all’epoca un testo come quello di Je t’aime... era una bella novità: «Vado e vengo tra i tuoi fianchi, vado e vengo tra i tuoi fianchi e mi trattengo - No! Ora Vieni!» Non c’è male per il 1969, nel senso che non si trattò di pornografia ma di un prodotto discografico alla portata di tutti, in un qualunque negozio di dischi. Per non parlare delle radio libere che la mandarono in onda a tutta birra. La Rai non poté farlo per via della censura ma ormai, censura o meno, il meccanismo si era messo in moto. La canzone di Gainsbourg diede la stura alla produzione di imitazioni, poi film, poi libri: come dimenticare «Porci con le ali» di Lidia Ravera e Marco Lombardo? Non era un libro di fantasia, era lo specchio di un mondo studentesco, di una città, di una mentalità. Se ne discusse. Dal 1975, per alcuni anni, la musica sforna nel mondo una gran quantità di dischi sexy ma poi, pian piano, la moda passò. Tutto viene a noia, anche le orgasmo song. Le due epoche tra le quali si innestò Je t’aime...sono quelle che in Italia vedevano la sessualità confinata in famiglia, con la brace del desiderio nascosta sotto la cenere e guai a parlarne, e quella dell’allentamento dei freni censori e inibitori, tutti a raccontare di orgasmi, amore libero e variazioni sul tema. Ciò farebbe pensare a sviluppi ulteriori sempre meno repressi e più rilassati di fronte all’argomento. Sviluppi che in mezzo secolo dovrebbero aver prodotto la migliore delle società, senza esibizioni e castrazioni. Invece non si contano gli insulti inflitti e ricevuti e ogni sorta di morbosità a causa di video e foto malamente condivise su internet. Tragedie personali e familiari enormi. Qualcuno si è suicidato per questo. Ci si chiede che cosa abbia prodotto di buono la liberazione sessuale se poi oggi il sesso per molti giovani, a quanto pare, sia diventato una prigione. Se anziché viverlo normalmente si vuole attraverso di esso esercitare potere, seducendo sul web attraverso porno casalinghi con tutte le conseguenze del caso. Non è colpa di internet. La rete non ha responsabilità maggiori di quanta ne abbia avuta Je t’aime .... moi non plus nei confronti dell’eccitabilità umana dell’epoca. I gemiti e lamenti, peraltro assistiti da una musica di fondo ben curata, di Je t’aime .... alla fin fine stimolavano, tra i fruitori del vinile acquistato, una sorta di discussione. C’era scandalo e non c’era scandalo allo stesso tempo, perché se ne parlava. In nessun modo Je t’aime .... poteva indurre a percepire o praticare la violenza di un’intimità privata violata o dileggiata, come nella deriva del cyberbullismo. Era comunque un semplice disco. Il testo era spinto, sì – ce ne sono anche nella musica colta – ma sempre di un brano musicale si trattava. Così come, sempre di quegli anni, a cura di tal Fiorello Culattini, la Tiber Record non si peritò di intitolare un proprio album, rozzo, omofobico ma anche non omofobico, I frocioni. Cosa che aggradò per primi gli omosessuali, i quali ne fecero un cult. Ridendoci sopra e adottando il disco come fosse una mascotte. Quando c’è margine per la critica, per l’ironia, per il commento, per uno scambio reale tra umani che implichi la reciproca presenza fisica e la mimica facciale nel discutere, violenza e bullismo trovano meno spazio. Il video porno girato in casa e condiviso – è cronaca costante di questi tempi – è muto. Non c’è alterità, non c’è scambio. Il dialogo digitato sulla tastiera, anziché nel confronto vero che usa il linguaggio del corpo, esprime meno della metà di ciò che siamo realmente. La banalizzazione del sesso, diffusa tra i giovanissimi, trova un potente strumento nel web se vissuto come strumento di solitudine. Il problema è sempre la mancanza di una comunicazione aperta, empatica e reciproca come dovrebbe essere prima di tutto in famiglia.
Il clamore di Je t’aime .... moi non plus si produsse perché evidentemente, quasi mezzo secolo fa, c’era un qualche bubbone che doveva scoppiare. Venne allo scoperto un argomento tabù attraverso una canzone che mostrò al mondo la cosa più banale: un uomo e una donna che si accoppiano. Non era quindi l’atto, ma era il parlarne, il problema. Je t’aime .... assolse al suo compito, aprì un canale, arricchì il suo autore e smitizzò un falso totem. Ci si accorse che si poteva parlare di sesso. E, come diceva Seneca, ci accorgiamo degli organi quando c’è qualcosa che non funziona.