Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Ero penalista, ho cambiato vita dopo aver vinto un processo»
NAPOLI Una carriera brillante: a 26 anni avvocato, a 28 anni il primo incarico professionale importante e poi la dolorosa e ponderata scelta: «Purtroppo ho lasciato Napoli e questo mestiere, mi sono dovuta riciclare e togliere, come dire, l’onta di essere un penalista di Napoli che si occupa di camorra ma alla fine, se prima non ce la facevo con le spese e il mio era un lavoro a perdere, adesso sono felice».
Alessandra Longo, 34 anni, da quasi 5 anni lavora in giro per l’Italia: dopo essere stata un avvocato penalista di successo a Napoli ora è un contract manager per un’azienda farmaceutica di livello mondiale con sede a Siena. «Ogni mese le spese per la professione a Napoli ti affossano, non ti fanno vivere, e quindi un giorno ho deciso di lasciare. Quel giorno lo ricordo ancora».
Quando ha preso la decisione di abbandonare la città e la sua professione?
«Incredibilmente nel momento in cui avevo ottenuto il mio più importante risultato professionale. Uno dei più importanti per la carriera da avvocato penalista: una clamorosa assoluzione per un omicidio».
Chi difendeva?
«Una donna del rione Sanità accusata di aver partecipato a un delitto durante la faida tra due clan di camorra. Avevo 28 anni, non molta esperienza, ed era la mia prima discussione davanti ad una giuria popolare in Corte d’Assise: ma mi ero fatta le ossa in almeno altri cento processi. In primo grado la donna fu condannata a 30 anni di reclusione. Io però sapevo che era innocente e così in Corte d’Assise d’Appello scrissi dei motivi fortissimi che furono apprezzati finanche dal procuratore generale e dai giudici della Corte. Dimostrai che quella donna era innocente, e fu assolta con formula piena per non aver commesso il fatto. Credevo che da quel momento in poi la mia carriera potesse decollare come ho sempre sognato e invece…».
E invece?
«Invece nulla. Non ebbi la ricompensa professionale che meritavo. Quella economica innanzitutto. Il cliente non mi pagò, i colleghi non si interessarono al caso, non ebbi i complimenti che in questo mestiere sono una forza incredibile, e pian piano il mio entusiasmo calò, insieme con il mio conto in banca».
Perché ha deciso di abbandonare l’avvocatura?
«Tre bollettini Mav da 800 euro per un totale di 2.400 euro da pagare ogni quattro mesi. E poi le fatturazioni con l’Iva al 22 per cento e la cassa al 4 per cento. Un giorno poi mi feci fare qualche conto dal fiscalista. In base a quanto stavo dichiarando, dopo 40 anni di lavoro, avrei percepito una pensione non superiore ai 1.000
euro. A quel punto ho detto basta. Le spese erano troppe e il mio impegno non valeva quanto riuscivo a portare a casa».
È stato facile appendere la toga?
«No. Dopo Napoli sono andata a lavorare per due anni a Roma ma ho capito che avevo bisogno di corsi di aggiornamento per lavorare oltre il penale che avevo trattato fino ad allora. Sono finita a Strasburgo e poi a Siena dove oggi lavoro per una società farmaceutica di livello internazionale occupandomi del settore della scrittura e collazione di contratti in un tutto il mondo. Direi che la meritocrazia esiste. Ma fuori da quel tribunale».
Niente onorario «Feci assolvere una donna accusata di omicidio, non mi hanno mai pagata»