Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Gusto, la parmigiana dark
Il classico napoletano annerito e bruciacchiato, buona invece la pasta con i ceci
Da tempo la Cantina di Sica di via Bernini al Vomero aveva perso l’identità di rifugio prediletto di intellettuali e politici. Nello scorso aprile è stato reciso anche l’ultimo legame con la storia: passato sotto il controllo del gruppo Luise, consolidato brand della gastronomia partenopea, il locale, dopo un opportuno restyling, ha riaperto con un nuovo nome: Gusto. La visita a pranzo in settimana, nella prima decade di novembre. La formula lunch propone un primo, un secondo e un contorno (due opzioni per piatto) a 9 euro. Ma io, per testare l’offerta complessiva, rivolgo la mia attenzione al menu. La scelta dell’antipasto cade sul tagliere di gusto che, considerato il nome, dovrebbe rappresentare uno dei piatti forti della casa. Il cameriere è mortificato. «Il tagliere è finito». Non è purtroppo l’unico buco nell’acqua. Ventitré etichette di vino è una dotazione appropriata per un locale del genere. A patto però, che tutte le referenze in lista siano presenti anche in cantina. La carta dei vini alla fine sembra piuttosto una tabula absentiae: le prime due bottiglie ordinate infatti mancano. Apre il pranzo una parmigiana di melanzane (1), freddina, annerita e bruciacchiata, dark, appesantita dall’olio usato per la frittura, e (incredibile!) spolverizzata di formaggio a crudo. Appena migliore il cuoppo: discreti crocché di patate (o fecola?), il riso dell’arancino e la pasta del timballetto sono stracotti, salvabili i fiammiferi di zucchine e melanzane in pastella. La pasta e ceci (2) è cremosa, davvero buona. Gli ziti (in realtà candele) alla Genovese sono penalizzati dal retrogusto amarognolo della salsa (forse dovuta all’impiego di vino rosso?) e dalla scolatura non attenta. Il baccalà alla siciliana è untuoso, col sugo di pomodorini acidino e salaticcio. Meno male che ci sono i dolci: ok sia il babà (3) che la pastiera.