Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La signora, il gigolò e uno strano incontro
All’ombra del dehor – le ali di un enorme uccello marino – Gabriele riconsiderò la donna che sedeva con lui. Le sue palpebre risollevate con un intervento ambulatoriale; le rughe spianate intorno agli occhi verdi; quelle labbra rimpolpate iniettandovi botulino. E pensare che, quando aveva iniziato ad accompagnare donne più anziane, le correzioni col bisturi al declino estetico lo indisponevano. Temeva il patetico, se ne vedeva già precocemente invischiato.
Ora, impratichitosi nel mestiere, all’irritazione per quei ritocchi era subentrato il distacco. Un atteggiamento che si conciliava perfettamente con la spiritualità buddista praticata da alcune fra le sue clienti più danarose e affezionate (il loro buddismo in versione light, per signore). Eliana, finora in silenzio, si lasciò sfuggire un gemito. Quel grappolo di palloncini multicolori sfuggito all’ambulante: un presagio di perdite irreversibili. Eliana, ex moglie-soprammobile di un costruttore, ogni tanto ricadeva nei flutti dell’irrazionale.
«Che hai oggi? Non sei la solita».
Lui l’aveva ripresa, brusco, anticipando il rimprovero speculare che, da un momento all’altro, la sua cliente gli avrebbe rivolto.
«Stavo per dirlo io a te», lei accusando comunque il colpo (soffriva all’idea di passare, agli occhi di Gabriele, per meno frizzante delle sue coetanee: le ventenni).
Abitualmente consumavano un aperitivo, a quest’ora. In questo caffè all’aperto sul lungomare. Davanti a loro si sgranava il passeggio di famigliole e turisti; lo scalpiccio delle coppiette alle prime uscite romantiche. Eliana e Gabriele aspettavano si facesse ora per cenare fuori godendo l’antipasto di un panorama inarrivabile: nell’arco di 180 gradi Castel dell’Ovo, la silhouette azzurrata di Capri, le primissime luci che costellavano Posillipo.
«Il dolce lo consumiamo a casa», le avrebbe sussurrato più tardi lui, a fine pasto. Galante, intimo, vellicandole uno zigomo con la rosa acquistata dal venditore cingalese (una rosa spampanata ma, per Eliana, rugiadosa come un giardino all’alba).
Non figurava tra le clienti incontentabili, Eliana. Gabriele le voleva quasi bene. Essenzialmente le era grato poiché non lo stremava con richieste esorbitanti. Né con l’aspettativa di funambolismi erotici reclamati con un piglio da zarina. Una singola compressa di Viagra, con lei, era sufficiente a commutare la corrente di simpatia in irrorazione sanguigna ai corpi cavernosi del pene. Dopodiché bastava alternare rotazioni di bacino con spinte schioccanti e profonde. Quel martellare in crescendo che Eliana assecondava ad occhi chiusi, fino all’eroica resa di lei al piacere. Il lieve ottundimento post coito faceva dolcemente rotolare Gabriele nel consueto sonno rigeneratore. Al risveglio il sorriso intenerito, le fusa e gli occhi, adesso verde assenzio, di lei.
Ora come ora, in ogni caso, si era ancora ai preamboli della serata: a quel loro lento sorseggiare un Campari. Quando Eliana portava il bicchiere alle labbra con un gesto associato da Gabriele al movimento, di pari eleganza e ritualità, con cui la cliente staccava gli orecchini dai lobi prima di adagiarsi nel letto.
Eliana stava appunto crogiolandosi nell’ammirazione del ragazzo, e nella luce rosata del tramonto sul golfo, quando una figura emerse fra i venditori di souvenir, lo slalom degli skaters, alcune padrone al guinzaglio dei loro cani. Una giostra maligna aveva voluto scaricare Sofia proprio lì, a due passi. Sofia, la sua unica figlia. Colei che incrociava raramente fra le mura di casa (tanto da avere più familiarità con l’espansiva donna a ore cingalese). Troppo tardi per distogliere lo sguardo. Troppo tardi per non dover camuffare il disappunto dietro un sorriso di circostanza.
La ragazza che Eliana aveva chiamato a sé con un’esclamazione era bella, valutò Gabriele. E molto più castigata nel vestire di sua mamma. Camicetta bianca, sbottonata con misura, sui jeans celesti. Un panama le ombreggiava la fronte, così come le ciglia lunghe e arcuate facevano ombra ai suoi occhi pigri. Le presentazioni d’obbligo erano già in corso.
«Lui è un caro amico. Gabriele».
La corposità naturale delle labbra di Sofia creava un broncio permanente; non potevi mai essere certo se si annoiasse o meno. «Sì, certo. Come va?». Era slanciata in modo armonioso, non come quei fenicotteri che incedono sulle passerelle. Con lei il Viagra sarebbe stato un controsenso. L’epidermide satinata della gola faceva presagire dei tessuti ugualmente sodi in altre zone del corpo. E gli occhi? Gli occhi di questa Sofia ponevano un problema. Gabriele ebbe l’impressione che si fossero appuntati su di lui dall’alto in basso.
«Dunque tu sei quello che va con le vecchie...», sibilava quella guardata altezzosa.
«Cosa vuoi che ti dica?», avrebbe desiderato risponderle, ricambiando disprezzo per disprezzo, «È colpa mia se tua madre è affamata non di piacere - tanto quello si può ottenere anche con una zucchina - ma di amore (quello che tu neanche sai cosa sia)? E che per ottenere qualche briciola di qualcosa che somiglia a questo amore si serve delle attenzioni, cash, di un altro non-amato come il sottoscritto?».
Ma Sofia si stava già accomiatando, con la noncuranza di quando ci si spazzola una manica dalle briciole (non era, in generale, una che si soffermasse quando capitava nel campo gravitazionale di madre o padre). Meglio così: Eliana aveva già iniziato ad immalinconirsi contemplando la figlia e il suo ragazzo-giocattolo. Accomunati dal fatto che lei si svenava per esaudire i loro capricci e prevenire, neanche fossero catastrofi, i loro sbalzi d’umore. Gabriele, per esempio: all’improvviso si era incupito come talvolta succedeva. In effetti il ragazzo, accanto ad Eliana, aveva talvolta l’impressione di vivere quarant’anni prima. Retrodatato in un’epoca non sua. La donna, materna, gli lisciò il dorso della mano.
«La vita ripara tutto», sussurrò convincendosene, mentre i gabbiani radevano le acque spumose sotto Castel dell’Ovo. Fra un’oretta, pensò Gabriele, la serata si sarebbe chiusa come un nodo scorsoio.
La ragazza che Eliana aveva chiamato a sé era bella E più castigata nel vestire di sua mamma «Dunque tu sei quello che va con le vecchie...», sibilava quella guardata altezzosa