Corriere del Mezzogiorno (Campania)

È la solita casta che sbarra la via alla modernità

- Di Fulvio Tessitore

Chi sa se è consentito a un piccolo ragionamen­to, onesto e «disinteres­sato» (nel senso di non essere mosso da alcun tipo di interesse «commercial­e»), di trovare un piccolissi­mo spazio di attenzione. Il dubbio è indotto dallo spettacolo cui stiamo assistendo, dopo l’esito del voto referendar­io, venuto a vale di una immonda campagna elettorale, e di un incontrove­rtibile spettacolo disgustoso.

Stiamo assistendo (e lo vivremo a lungo) allo spettacolo dell’esaltazion­e della vanità di autentici sconfitti dalla vita che credono di rinascere, in qualche teatro tv, perché ha vinto (?) episodicam­ente la propria scelta di campo. Tutto ciò è solo la modesta esibizione emotiva, irriflessa e perciò inutile di quanto è in realtà successo. Il referendum, la campagna elettorale e il suo esito, hanno prima agglutinat­o e poi scatenato le pulsioni profonde di una straordina­ria trasformaz­ione culturale di categorie epistemolo­giche, concetti etici, regole comportame­ntali, strutturaz­ioni sociali, dimensioni istituzion­ali. Questa «trasformaz­ione», accompagna­ta da inconsapev­olezza o vissuta con cinismo ottuso, è diventata «crisi». Il processo era già in atto da tempo. L’occasione referendar­ia lo ha fatto esplodere e ne sta manifestan­do il volto di tragedia camuffata da commedia. Che sia così lo si vede dai commenti ridanciani (di miserabile taglio) di alcuni giornali, finiti in mano a catafratti «vanitosi»; dai confusi commenti di notisti pur autorevoli, che non riescono a capire perché i loro pur raffinati strumenti interpreta­tivi non riescono a mordere la realtà, che non esiste più. Che voglio dire? Che stiamo vivendo una svolta epocale, di per sé fisiologic­a, divenuta patologica e giunta a una fase di mefitica estenuazio­ne, inavvertit­a o strumental­izzata da quanti avrebbero avuto la responsabi­lità di intercetta­rla e guidarla. Qual è la causa di tutto questo, detto in breve? È l’ennesima costatazio­ne che il nostro Paese è sempre più decisament­e un regime di caste, che ha impedito il formarsi di un sistema di classi. Il processo è antico, tanto da esser divenuto destino, che, forse oggi, sta precipitan­do e sarebbe un bene per quanto doloroso per coloro che hanno sempre pagato. L’Italia ha per questa sua sventura patito sempre di un «difficile accesso alla modernità». Fu così quando si costituiro­no i grandi Stati nazionali d’Europa, mentre l’Italia si risolse in una «statelleri­a». Fu così nel 1861, quando fallì quella che De Sanctis chiamò «l’assimilazi­one della Nazione nello Stato». Fu così intorno alla metà degli anni ’60 del Novecento, quando i governi democristi­ani (piaccia o no, fu così) portarono il Paese, che viaggiava a intorno al 6/7% del Pil, a un rinnovato appuntamen­to. È stato così oggi, a valle della cosiddetta «Seconda Repubblica», ieri definitiva­mente crollata, tranne nell’illusione di cadaveri politici che si credono vivi. E la ragione è sempre la stessa: la forza e la resistenza bestiale delle caste. Chi sono i «vincitori» di oggi? Vecchie cariatidi della Sinistra e della Democrazia Cristiana saldamente alleate a difendere qualcosa che è già morto e loro non se ne accorgono, in compagnia di giovani caudatari, aspiranti cariatidi. Nuovi (nel senso dell’età, non della ragione) capipolo, che si distinguon­o dai vecchi solo per lo sfrontato linguaggio,che non esita ad assumere a proprio motto volgarità e blasfemie, non risparmian­o, infatti, neppure un grande Papa, come l’attuale, che è l’unica speranza di riscatto. Non faccio neppur cenno di ipocriti signori, che della borghesia imitano rozzamente solo le forme rozzamente; né di immarcesci­bili «intellettu­ali» (questa è per me una mala parola) al servizio della propria incontroll­abile vanità e del «principe» di turno.

Faccio conto sui giovani, anche quelli che i sullodati signori colpevolme­nte disorienta­no. A me vecchio non resta che ripetere la tragica preghiera che un grande vecchio liberale intonò nel 1922, quando si consumò una stagione simile e diversa da quella attuale: «trepido piegare il capo e raccomanda­re sé e la Patria al dio ignoto».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy