Corriere del Mezzogiorno (Campania)
È la solita casta che sbarra la via alla modernità
Chi sa se è consentito a un piccolo ragionamento, onesto e «disinteressato» (nel senso di non essere mosso da alcun tipo di interesse «commerciale»), di trovare un piccolissimo spazio di attenzione. Il dubbio è indotto dallo spettacolo cui stiamo assistendo, dopo l’esito del voto referendario, venuto a vale di una immonda campagna elettorale, e di un incontrovertibile spettacolo disgustoso.
Stiamo assistendo (e lo vivremo a lungo) allo spettacolo dell’esaltazione della vanità di autentici sconfitti dalla vita che credono di rinascere, in qualche teatro tv, perché ha vinto (?) episodicamente la propria scelta di campo. Tutto ciò è solo la modesta esibizione emotiva, irriflessa e perciò inutile di quanto è in realtà successo. Il referendum, la campagna elettorale e il suo esito, hanno prima agglutinato e poi scatenato le pulsioni profonde di una straordinaria trasformazione culturale di categorie epistemologiche, concetti etici, regole comportamentali, strutturazioni sociali, dimensioni istituzionali. Questa «trasformazione», accompagnata da inconsapevolezza o vissuta con cinismo ottuso, è diventata «crisi». Il processo era già in atto da tempo. L’occasione referendaria lo ha fatto esplodere e ne sta manifestando il volto di tragedia camuffata da commedia. Che sia così lo si vede dai commenti ridanciani (di miserabile taglio) di alcuni giornali, finiti in mano a catafratti «vanitosi»; dai confusi commenti di notisti pur autorevoli, che non riescono a capire perché i loro pur raffinati strumenti interpretativi non riescono a mordere la realtà, che non esiste più. Che voglio dire? Che stiamo vivendo una svolta epocale, di per sé fisiologica, divenuta patologica e giunta a una fase di mefitica estenuazione, inavvertita o strumentalizzata da quanti avrebbero avuto la responsabilità di intercettarla e guidarla. Qual è la causa di tutto questo, detto in breve? È l’ennesima costatazione che il nostro Paese è sempre più decisamente un regime di caste, che ha impedito il formarsi di un sistema di classi. Il processo è antico, tanto da esser divenuto destino, che, forse oggi, sta precipitando e sarebbe un bene per quanto doloroso per coloro che hanno sempre pagato. L’Italia ha per questa sua sventura patito sempre di un «difficile accesso alla modernità». Fu così quando si costituirono i grandi Stati nazionali d’Europa, mentre l’Italia si risolse in una «statelleria». Fu così nel 1861, quando fallì quella che De Sanctis chiamò «l’assimilazione della Nazione nello Stato». Fu così intorno alla metà degli anni ’60 del Novecento, quando i governi democristiani (piaccia o no, fu così) portarono il Paese, che viaggiava a intorno al 6/7% del Pil, a un rinnovato appuntamento. È stato così oggi, a valle della cosiddetta «Seconda Repubblica», ieri definitivamente crollata, tranne nell’illusione di cadaveri politici che si credono vivi. E la ragione è sempre la stessa: la forza e la resistenza bestiale delle caste. Chi sono i «vincitori» di oggi? Vecchie cariatidi della Sinistra e della Democrazia Cristiana saldamente alleate a difendere qualcosa che è già morto e loro non se ne accorgono, in compagnia di giovani caudatari, aspiranti cariatidi. Nuovi (nel senso dell’età, non della ragione) capipolo, che si distinguono dai vecchi solo per lo sfrontato linguaggio,che non esita ad assumere a proprio motto volgarità e blasfemie, non risparmiano, infatti, neppure un grande Papa, come l’attuale, che è l’unica speranza di riscatto. Non faccio neppur cenno di ipocriti signori, che della borghesia imitano rozzamente solo le forme rozzamente; né di immarcescibili «intellettuali» (questa è per me una mala parola) al servizio della propria incontrollabile vanità e del «principe» di turno.
Faccio conto sui giovani, anche quelli che i sullodati signori colpevolmente disorientano. A me vecchio non resta che ripetere la tragica preghiera che un grande vecchio liberale intonò nel 1922, quando si consumò una stagione simile e diversa da quella attuale: «trepido piegare il capo e raccomandare sé e la Patria al dio ignoto».