Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Il meridionalismo di Galasso scevro di folclore e aneddotica»
Giannola presenta la raccolta degli editoriali dello storico sul «Corriere del Mezzogiorno»
«La grandezza di Giuseppe Galasso risiede nella sua straordinaria capacità di leggere in un fatto di cronaca apparentemente minore il segnale di un fenomeno storico di portata molto più ampia». Così Adriano Giannola presidente della Svimez sintetizza il suo giudizio sullo storico Giuseppe Galasso. Proprio ieri, nella biblioteca romana dell’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno si è tenuta a battesimo la raccolta in quattro volumi, editi da Cacucci, degli articoli ed editoriali dello storico napoletano pubblicati tra il 2002 e il 2015 sul Corriere
del Mezzogiorno. La prefazione di «Mezzogiorno.it Dall’Osservatorio italiano del Corriere del Mezzogiorno» è stata curata dal vicedirettore del Corriere della Sera Antonio Polito che per circa due anni ha guidato il quotidiano campano. Alla presentazione del volume hanno preso parte, oltre all’autore e al padrone di casa Giannola, anche Gerardo Bianco, Antonio La Spina, Massimo Lo Cicero e il ministro per la Coesione territoriale Claudio De Vincenti.
Professore Giannola può spiegare come è nata l’iniziativa?
«Voglio precisare che l’iniziativa di raccogliere e pubblicare tutti gli scritti di Giuseppe Galasso in quattro volumi non è stata della Svimez. Noi invece, di fronte a tanto materiale, abbiamo deciso di parlarne e di rendere omaggio a un personaggio
poliedrico, a un grande storico, in grado da essere, come si suol dire, sempre sul pezzo anche snella quotidianità, con la sua saggezza e la sua capacità di proiezione anche giornaliera».
Cosa ammira di più in Galasso?
«Innanzitutto l’ampiezza della sua dimensione intellettuale, del respiro storico, capace di leggere la cronaca come un pezzo significativo della storia. Riesce a dare un significato anche a un semplice fatto. Come sapete mi occupo di economia, e spesso mi trovo a confrontarmi con fonti statistiche di tipo congiunturale. Dopo averne seguito lo sviluppo nel tempo, ti accorgi che svelano una realtà strutturale. Galasso invece coglie sempre nell’aspetto episodico le radici di certi fenomeni più complessi e duraturi, le radici di una prospettiva anche in eventi minori».
Galasso e il Mezzogiorno.
«È uno dei testimoni più fertili della realtà. La sua è sempre stata e continua ad essere una riflessione scevra dal rischio, che al Sud è sempre elevato, di indugiare nel folclore e nell’aneddotica. Galasso parla di Napoli, anche delle fasi e delle vicende minori,come la capitale che è stata, e che potrebbe essere».
Una personalità unica.
«Unica e invidiabile. Considerata la sua biografia e la sua attuale età dà i punti a molti di noi più e meno giovani».
Chi sono i suoi eredi?
«Ce ne sono sicuramente. La storiografia non è il mio ambito e non vorrei fare nomi e cognomi perché nell’ambito accademico è facile incorrere in incresciose gaffe. Galasso è un maestro come per me è stato Augusto Graziani, nel suo campo è di pari caratura e valore. Graziani stato però un maestro eterodosso, per non dire eretico, Galasso è riconosciuto a prescindere. È un maestro esigente, difficile da seguire».
Il suo rapporto umano con lui?
«Non lo conosco benissimo, ma ho buona consuetudine con lui. L’ho conosciuto tanti anni fa, è stato sempre interessato alle posizioni che esprimevo sul Mezzogiorno che lui sentiva più vicine di certe idee dominanti». Può fare un esempio? «C’è stato un momento in cui sulla rivista Meridiana prevaleva una posizione negazionista sul Mezzogiorno. Io invece ho avuto sempre una posizione neomeridionalista classica, cioè ritenevo il meridione una grande questione nazionale. Galasso era in sintonia con questa visione».
Il sodalizio col Corriere del Mezzogiorno?
«Fertile e prezioso per Napoli e per il Mezzogiorno. Napoli ha bisogno di una riflessione critica per non chiudersi in se stessa e a mantenere un ruolo nazionale e internazionale. Galasso in questi anni ha contribuito tantissimo a mantenere viva questa centralità».
Ha una dote innata: riesce a cogliere anche nell’aspetto episodico le radici di certi fenomeni più complessi e duraturi, le radici di una prospettiva anche in eventi minori