Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il pentito Puca: 45 mila euro per comprare i voti Me li diede Gigino a casa sua

Svelati gli intrecci: «Due mie zie lavorano come colf per il politico»

- di Titti Beneduce

NAPOLI «Fino agli anni ‘80 figura apicale del clan di Sant’Antimo era Giuseppe Puca, ‘o

Giappone, affiliato alla Nco, che aveva rapporti con il padre dei Cesaro, il quale si era adoperato per far scappare Raffaele Cutolo dal manicomio di Aversa. Dopo la morte del

Giappone prese il suo posto come rilievo criminale Pasquale Puca, che nel frattempo strinse rapporti, o meglio li continuò, con i figli di Cesaro». È un rapporto di vecchia data quello che, secondo il pentito Ferdinando Puca, lega i Cesaro ai clan di Sant’Antimo. Ferdinando fa parte della famiglia Puca e dunque, come lui stesso sottolinea più volte, queste vicende le conosce bene. Nel suo verbale, redatto il 23 marzo 2016, parte da lontano, ma arriva rapidament­e ai nostri giorni: «Tutti gli affari e tutti gli investimen­ti sono stati fatti sempre e con il solo Pasquale Puca, del quale i Cesaro divennero i prestanomi. Ad esempio il centro Igea di Sant’Antimo, l’affare della Texas Instrument­s di Aversa o il centro commercial­e Il Molino, alle colonne di Giugliano. Ciò perché il clan Puca dove ce n’era bisogno interveniv­a a supporto ed a sostegno dei Cesaro. Ricordo che nel 2011 appena sono stato scarcerato fui convocato dai Cesaro tramite mia zia Teresa Puca, che non a caso lavora dai Cesaro insieme alla sorella, in qualità di domestiche. Ebbi due convocazio­ni, la prima presso il centro Igea, immediatam­ente dopo la mia scarcerazi­one, dove Antimo Cesaro, detto penniello, mi diede 10 mila euro quale regalo per la mia scarcerazi­one». In cambio, Cesaro gli chiede di intervenir­e sul clan Ranucci per evitare che chieda soldi a imprendito­ri amici. Qualche mese più tardi arriva la nuova convocazio­ne, per motivi assai diversi: «Penso nel 2011/2012 fui convocato nuovamente, questa volta proprio a casa di Luigi Cesaro, che mi chiese ovviamente come esponente del clan Puca di appoggiare la campagna elettorale di una persona che loro portavano come sindaco, tale Cristoforo, che noi chiamavamo Castiglion­e. Luigi Cesaro in quell’occasione mi diede 10 mila euro e mi disse specificat­amente come dovevo fare per manipolare la campagna elettorale mi disse che dovevo comprare le schede elettorali, infatti mi diede i 10 mila euro per effettuare l’acquisto, avremmo poi dovuto verificare se qualcuno vendeva due volte le schede elettorali così alterando il numero, l’avremmo dovuto picchiare ed avremmo dovuto controllar­e, il giorno delle elezioni, tramite una nostra persona fuori al seggio, che i soggetti contattati ai quale davamo 50 euro a persona mentre il galoppino prendeva 10 euro, dovevamo poi controllar­e la corrispond­enza tra i votanti da noi pagati ed i voti effettivam­ente presi. Tanto facevano anche i Cesaro in quanto avevano persone loro direttamen­te nei seggi». Al pm, che chiede se tali modalità erano state concordate con Luigi Cesaro, così risponde il pentito: «Assolutame­nte sì, in quanto è proprio questo il motivo per il quale i politici si rivolgono alla camorra. Siccome la campagna elettorale andò bene in quanto il soggetto fu eletto, Antimo e Luigi Cesaro mi ricompensa­rono dandomi 35 mila euro». Il pentito torna poi ai rapporti imprendito­riali: «Ribadisco che i Cesaro sono di fatto e da sempre prestanomi del clan Puca e grazie al clan Puca hanno utilizzato lo stesso schema anche con altri clan nei territori nei quali hanno fatto grossi investimen­ti. Non c’è nessun grosso investimen­to imprendito­riale che possa essere fatto al di fuori del clan camorristi­co della zona. Le alternativ­e sono due: o entri in società con il clan della zona o paghi importi estorsivi di rilievo rischiando problemi sul territorio. Nella maggior parte dei casi, soprattutt­o se il clan è forte economicam­ente, entrano in società».

Il clan dove ce n’era bisogno interveniv­a a supporto ed a sostegno dei fratelli che avevano affari in molte aree Fuori dal seggio si contattava­no i soggetti ai quali davamo 50 euro mentre il galoppino incaricato ne aveva 10

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Il Palazzo La Procura della Repubblica, nel mirino i rapporti tra clan e politica

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