Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Parise, La Capria e la tirchieria di Moravia in un’estate amalfitana

- Di Natascia Festa

Eravamo io (ovvero Marina Ripa di Meana) Alberto Moravia e Goffredo Parise. La madame della dolce vita italiana, dopo I miei primi quarant’anni racconta nuove pagine di una vita sorprenden­te, questa volta sfogliando il diario dell’amicizia con i due scrittori con in quali formava un trittico insolito ma solido, un sodalizio durato quasi trent’anni. In Colazione al Grand Hotel (Mondadori) che Ripa di Meana presenPari­se: ta stasera all’Hotel Le Agavi (ore 21) per Positano Mare, Sole e Cultura, rassegna presieduta da Aldo Grasso, ci sono anche scorci inediti della stessa Costiera. Un giorno, davanti a un filetto di spigola, i tre specialiss­imi amici parlavano della loro predilezio­ne per il pesce fresco, almanaccan­do i luoghi in cui se ne reperiva di ottima qualità. A farsi sponsor del pescato campano è Alberto Moravia: «Anche sulla costiera amalfitana ci sono dei bellissimi mercati del pesce, con certi ricci freschissi­mi, che ancora palpitano sui banchi». E «So che qualche anno fa sei stato in vacanza ad Amalfi con Dudù La Capria. Lui racconta che quando andavate al mare, tu te ne stavi seduto come un gatto su uno scoglio, mentre Dacia pescava i ricci, poi te li portava e tu te li pappavi freschi freschi». E poi: «Per la verità Dudù ha detto che l’unico neo era che al mattino alle otto in punto tu e Dacia cominciava­te il concerto con le vostre macchine per scrivere. Lui si girava dall’altra parte, tentando di continuare a dormire, ma gli venivano certi sensi di colpa…». Metodi di scrittura e umani vizi. Come la tirchieria attribuita da La Capria a Moravia. A parlare è sempre Parise: «La Capria mi ha anche raccontato che, quando erano ad Amalfi, a volte Alberto si offriva di andare a fare la spesa. Per non dire che Alberto è tirchio, Dudù lo definisce un po’ “trattenuto”. Pare che un giorno avesse finalmente comprato un bel pescione, ma quando lo misero in tavola scoprirono che aveva un sapore strano, come di castagne. In risposta alle rimostranz­e di Dudù, sai cosa disse Alberto senza fare una piega? “Per forza, si chiama pesce castagna”». Che ovviamente costava meno. Al Grand Hotel si parlava anche di New York, città protagonis­ta de L’evidenza delle cose non viste (Mondadori) con il quale Antonio Monda prosegue il suo progetto narrativo dedicato alla Grande Mela (obiettivo dieci romanzi). Il direttore artistico del Festival del Cinema di Roma è l’altro ospite dell’incontro di stasera. Suo il racconto di un amore anni Ottanta a Manhattan, potente e clandestin­o.

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Antonio Monda
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Marina Ripa di Meana

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