Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I PREGIUDIZI ATTORNO ALLA CITTÀ
Ma è davvero così? Napoli può mai essere considerata pericolosa come Grozny o come Raqqa, la capitale dell’Isis? Se si scorre il grafico pubblicato dal Sun con tanto di disegnini di bombe a mano e di pugni chiusi (simbolo delle gang) non c’è appello: è così. Prima reazione: rabbia e fastidio per il pregiudizio. Dura qualche minuto. Essere considerato uno dei dieci luoghi più pericolosi della terra, viene da pensare, non è neppure corretto, per il fatto, tanto per cominciare, che Raqqa e Grozny sono città martoriate dalla guerra. Quelle popolazioni hanno subito e subiscono sofferenze indicibili. Ma se andiamo per questa strada la questione Napoli-cittàin-guerra ancora non è centrato del tutto. La questione è antica. Napoli racchiude e porta con se i pregiudizi che non riesce a scrollarsi di dosso spesso per sua colpa. Ecco il punto. Se nella mappa mondiale del rischio il giornale britannico a più larga diffusione decide di inserire, per tutta la vecchia Europa, la nostra città come esempio di rischio, il problema c’è e va affrontato. In un mondo che vive di percezioni, di social network, di racconti, vuol dire che gli omicidi di camorra riescono a rappresentare la città molto di più di tutte le cose che invece la città realizza. Con tutti i paradossi del caso: quel grafico-esagerato mal si concilia con la gran quantità di turisti britannici che pure continuano (anche in questi giorni) a visitarla in lungo e in largo.
Ecco il nodo: perché quella foto di un morto coperto dal lenzuolo bianco è l’immagine della città? Come può accadere che accanto al zone di guerra, a città che vivono nel terrore, ci sia anche Napoli? In certi momenti la sensazione di una città in guerra l’abbiamo anche noi per l’efferatezza di alcuni crimini, ma continua ad essere solo un pezzo della realtà. Evidentemente quello che resta più impresso. Ed è per questo che il servizio del Sun dovrebbe funzionare da scossone, dopo il fastidio iniziale. Un fastidio profondo per tutti i pregiudizi che quelle parole e quei disegnini svelano. Dimenticano la storia, dimenticano la bellezza dei luoghi. Dimenticano le eccellenze universitarie, dimenticano la prima ferrovia. Dimenticano i dipinti di Caravaggio. Dimenticano Giambattista Vico. Ma soprattutto dimenticano le iniziative che la stessa città genera per reagire alla camorra. Dimenticano gli sforzi di tanti funzionari onesti. Perciò il fastidio.
Ma fermarsi a questa soglia sarebbe un errore. Se il pregiudizio è così radicato (non solo nel Regno Unito, a voler essere sinceri, ma anche molto più vicino a noi) c’è qualcosa che lo alimenta. Qualcosa che si basa su dati reali, realissimi come la camorra, e sull’incapacità di una città di raccontarsi per quello di positivo che realizza.
Va molto di moda, di questi tempi, il tema dello storytelling, il racconto, appunto. Che serve a non dimenticare tutte le cose positive che Napoli rappresenta. Spesso i toni sguaiati della politica non aiutano. Non è solo una questione di marketing ma di ristabilire la verità. E di venir cancellati da quel grafico offensivo e sbagliato.