Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La polizia postale: attenti, il sexting è una minaccia seria
Il dirigente: «C’è molta superficialità da parte delle tredicenni»
+NAPOLI «Le ragazze a 12 anni già scambiano sul web immagini dei loro corpi nudi con sconosciuti. Del tutto inconsapevoli delle conseguenze che simili gesti possono avere». Daniele de Martino è da due mesi il dirigente della Polizia Postale della Campania. «Quello che viene fuori con forza è l’idea poco precisa che i giovanissimi, e spesso non solo loro, hanno delle azioni che compiono quando sono on line».
Quali sono i casi in cui più spesso vi imbattete?
«La polizia postale tratta prevalentemente materiale relativo ad immagini, filmati e video, realizzati in maniera consapevole oppure all’insaputa del soggetto ritratto. Se c’è una minaccia attraverso l’utilizzo del mezzo tecnologico veniamo interessati. L’altro fronte che trattiamo con maggiore frequenza è quello del cyberstalking e del cyberbullismo. Ci muoviamo fra adescamenti, pedopornografia, molestie. E sempre riscontro una mentalità dei ragazzi e dei nativi digitali nel trattare questi argomenti poco concreta. Tardivamente si rendono conto di cosa accade sulle chat e sulle piattaforme di incontri». Come si interviene? «Il lavoro in termini di repressione è importante, ma è solo un tassello. Negli ultimi dieci anni il mondo è molto cambiato, la rete si è amplificata. E quando tra 10 o 15 anni avremo nativi digitali come poliziotti e magistrati tutto sarà differente».
Lei sostiene che c’è una mancanza di consapevolezza da parte di molte ragazze.
«Diciamo pure una certa superficialità. Noi siamo molto impegnati nelle scuole e spieghiamo bene i rischi del sexting, una pratica molto diffusa fra gli adolescenti, che consiste nel mandarsi immagini sulla propria attività sessuale, che vengono poi diffuse. La rete purtroppo non dimentica, è questa la profonda differenza tra cyberbullismo e bullismo».
La nostra inchiesta getta un fascio di luce sulla prostituzione minorile portata avanti attraverso la rete.
«Non è la prima volta che ci troviamo di fronte a casi del genere. Si tratta di abusi a carico di soggetti minori, che spessissimo sono ragazzine. Spesso volontariamente si fanno riprendere e si riprendono e trasmettono immagini che dovrebbero restare riservate. Queste ragazze rischiano di entrare in una spirale di ricatti. I loro persecutori possono chiedere soldi, attenzioni sessuali o, in contesti scolastici, le immagini possono venire diffuse e queste ragazze diventano oggetto di cyber bullismo».
Serve una denuncia perché la polizia postale proceda? «Basta una segnalazione». Come si può lavorare per prevenire queste situazioni?
«Il problema centrale è quello culturale. È un atteggiamento di mancata conoscenza delle conseguenze delle proprie azioni. Nelle scuole parliamo di custodia dei dati proprio perché frequentemente ci troviamo di fronte ad atteggiamento superficiali. Ci si affida al proprio partner o amico, con immagini esplicite, e al termine dell’idillio o dell’amicizia spesso si generano situazioni problematiche o drammatiche per la parte offesa».
L’autore del reato ha lo stesso approccio leggero?
«Certo. Il carnefice frequentemente ha la percezione di non poter essere fermato e non pensa ai danni che sta provocando. E questo riguarda tuti i reati commessi sulla rete, anche quelli di opinione. La rete scatena bassi istinti e amplifica l’effetto branco, fa saltare i freni inibitori».
I ragazzi come reagiscono alle vostre lezioni?
«Il problema è attirare la loro attenzione. E farsi credere».
Pensano di poter governare i propri smartphone?
«È così. Perciò alla nostra azione è importante che concorrano anche presidi e insegnanti con corsi e lezioni mirate. Una chiacchierata con la polizia di Stato serve se c’è un tessuto scolastico pronto».
E le famiglie, i genitori cosa possono fare?
«Mantenere aperto un canale di dialogo con i ragazzi, senza lasciarli a loro stessi. Fargli sentire la propria fiducia, dal momento che degli adulti spesso diffidano e hanno vergogna. Controllarli, da un punto di vista tecnico, non serve. Difficilmente si può essere tecnicamente sullo stesso livello di un nativo digitale. Se ci si pone solo sul piano del controllo, si è perdenti». Lei ha figli? «Ho figli ancora bambini, ma già si approcciano alla rete e ho le medesime difficoltà di tutti. Per me non è così diverso e non ci sono soluzioni preconfezionate. Bisogna lavorare, insistere, spiegare, comunicare e parlare».