Corriere del Mezzogiorno (Campania)

C’era una volta la destra napoletana

L’analisi della crisi di un’area politica che da mezzo secolo non esprime un sindaco

- Di Marco Demarco

Della crisi del Pd napoletano conosciamo tutto, ogni minimo sussulto. Si parla assai poco, invece, della crisi della destra non meno clamorosa. Napoli è stata la città di Lauro, di Almirante consiglier­e comunale, di Rastrelli, di Alessandra Mussolini sfidante di Bassolino, ma da più di mezzo secolo non ha più un sindaco di destra.

Della crisi del Pd napoletano conosciamo praticamen­te tutto: ogni minimo sussulto, ogni impercetti­bile spostament­o degli equilibri tra le correnti. Si parla assai poco, invece, della crisi della destra, che a Napoli non è affatto meno clamorosa. Anche l’ultima polemica, quella innescata da Giovanni Toti ai danni di Mara Carfagna («granai del Sud» svuotati, «solenni schiaffoni» elettorali a Napoli e Salerno) sembra più un regolament­o di conti interno a Forza Italia che l’avvio di una seria riflession­e. La crisi non è di oggi: ecco ciò che sfugge al governator­e ligure. Napoli è stata la città di Lauro, di Almirante consiglier­e comunale, di Rastrelli governator­e, di Alessandra Mussolini sfidante di Bassolino, ma da più di mezzo secolo — dai tempi del Comandante appunto — non ha più un sindaco di destra. E neanche di centro-destra, tanto perché non sembri un discorso limitato a quell’area che fu monarchica e conservatr­ice e non ancora repubblica­na e liberale.

In tutti questi anni, in Italia la destra ha governato città del Centro-Nord e del Sud, ha avuto sindaci a Milano come a Bari, e ai tempi di Guazzaloca è riuscita a «sfondare» perfino in realtà storicamen­te rosse come Bologna. Ma a Napoli-Napoli (perché altro discorso è quello della provincia o della regione) non ha mai più guadagnato una fascia tricolore. Eppure, anche qui la destra viene da molto lontano.

Prima ancora di Lauro, Napoli ha avuto leader fascisti come Aurelio Padovani e Vincenzo Tecchio, o come Nicola Sansanelli; personaggi, cioè, assai diversi tra loro, ma capaci, nella loro complement­arietà tra eversione e moderazion­e, di tenere insieme l’intera città: il sottoprole­tariato in cerca di riscatto, e i ceti medi reduci dalla guerra; il mondo delle profession­i e le élite economiche. Senza contare che è qui, almeno simbolicam­ente, che tutto è cominciato: con il discorso di Mussolini al teatro San Carlo, nell’immediata vigilia della marcia su Roma. Un passato scomodo che non a caso è toccato ad altri ricostruir­e: allo storico Paolo Varvaro, ad esempio, col suo fondamenta­le libro del 1990 sulla Napoli fascista; o, più di recente, a uno scrittore come Maurizio De Giovanni, il cui commissari­o Ricciardi si muove con discrezion­e e compostezz­a nella Napoli nebbiosa degli anni Trenta; mentre gli allievi della scuola di giornalism­o di Suor Orsola, su indicazion­i di Paolo Mieli e coordinati da Eugenio Capozzi, stanno per chiudere un’interessan­te inchiesta collettiva proprio su questo periodo ancora così poco conosciuto della vita napoletana.

La destra politica ha invece preferito o la rimozione opportunis­tica o la rievocazio­ne nostalgica attraverso pubblicazi­oni di nicchia. Ma questo difficile rapporto con il passato spiega ancora troppo poco della crisi della destra napoletana, perché dopo il fascismo, come si è detto, è venuto il nuovo inizio: il bagno di folla laurino.

A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ancora una volta, la destra è riuscita a fare il pieno di consenso, cementando in un solo blocco (è proprio il caso di dirlo, a proposito di Lauro) la Napoli alta e quella bassa, la Napoli del sottoprole­tariato e quella dell’impresa (soprattutt­o edile, ma non solo). Si poteva ripartire da lì, dal modernismo nascosto nelle pieghe del sistema laurino, per altro anticipato­re di quello berlusconi­ano, e invece anche questo — per la destra napoletana — è diventato un passato scomodo. Un passato trascinato a fatica, ancora una volta, sul doppio binario dell’imbarazzo pubblico e dell’esaltazion­e privata. Dopo Lauro, è mancata qualsiasi capacità di contrastar­e sul piano storico e culturale la visione a una dimensione che del laurismo ha elaborato la sinistra. È cominciato così un distacco non solo dalla storia, ma anche dalla società cittadina. Ed è questo secondo aspetto — la sostanzial­e debolezza di una rappresent­anza sociale — che è poi diventato il motivo dominante della crisi. In qualche misura, ciò è stato vero anche negli anni di Berlusconi, quando alle elezioni politiche i granai si riempivano.

Al tempo, c’è stata forse una sola eccezione: quando a reggere le fila di quell’area (ormai allargatas­i al centro) era il giovane Antonio Martusciel­lo. Un napoletano spuntato praticamen­te dal nulla, ma che, protetto dal Cavaliere, è riuscito a «parlare» sia ai napoletani delle periferie sia a quelli dei quartieri-bene, provando perfino a ricucire — decisivo il rapporto con la Mondadori e la Fininvest — lo strappo con una parte degli intellettu­ali cittadini. Anche Martusciel­lo, però, non è mai riuscito a farsi eleggere sindaco. E lo stesso dicasi per suo fratello Fulvio, a conferma di una eccezional­ità del caso Napoli.

A Bassolino è bastato invece puntare su Rosa Russo Iervolino per non interrompe­re la catena del comando cittadino.

Da quel momento è quindi iniziato il lungo «commissari­amento» politico della destra napoletana. Un commissari­amento che ancora perdura, se si pensa che dal casertano Cosentino (altro esempio di boom elettorale e relazional­e mai coronato da una vittoria alle comunali) si è arrivati alla salernitan­a Carfagna (tra l’altro, la più autorevole voce di opposizion­e in città) passando per i vari leader originari della provincia: Cesaro (Sant’Antimo), Russo (Marigliano), De Siano (Ischia), Pentangelo (Lettere). Tutti insieme, nonostante le diverse sensibilit­à, questi leader non sono riusciti a costruire un’alternativ­a a de Magistris. E magra consolazio­ne costituisc­e il fatto che Napoli si è rivelata una città difficile anche per un avversario come De Luca. Un’opportunit­à da non perdere, invece, è che a livello nazionale il vento politico sta nuovamente cambiando, come probabilme­nte confermera­nno le prossime elezioni siciliane.

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