Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Poeti del Sud, 7 anni di oblio ministeria­le

Nel 2010 cancellati dalle indicazion­i per i licei, appello degli intellettu­ali meridional­isti

- Russo

Sono passati sette anni da quel mese di ottobre 2010 in cui l’allora ministro dell’Istruzione, Mariastell­a Gelmini, cancellò dalle indicazion­i nazionali per i licei i nomi dei principali scrittori e poeti meridional­i del Novecento. Furono presentate interrogaz­ioni parlamenta­ri e presi impegni da vari ministri per reinserire i nomi di Quasimodo, Vittorini, Scotellaro, Sciascia e altri. Ora un gruppo di studiosi scrive al sottosegre­tario all’Istruzione per chiedere «giustizia».

Siamo punto e a capo. Sette anni dopo quel nefasto mese di ottobre in cui l’allora ministro leghista dell’istruzione, Mariastell­a Gelmini, decretò la cancellazi­one dei letterati meridional­i del Novecento dalle indicazion­i nazionali per i licei, nulla è cambiato. Per la scuola italiana continuano a rimanere «poco significat­ivi» autori come Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Ignazio Silone, Leonardo Sciascia. Ovvero poeti come i lucani Rocco Scotellaro e Leonardo Sinisgalli. Per questi ultimi due l’ esclusione dai curricoli scolastici suona ancora più beffarda visto che Matera nel 2019 sarà capitale europea della cultura. Nonostante i solenni impegni di gran parte del mondo politico, le crociate degli intellettu­ali (non solo meridional­i), le interpella­nze parlamenta­ri e le rassicuraz­ioni di almeno quattro ministri dell’Istruzione, la migliore produzione letteraria novecentes­ca del Mezzogiorn­o è stata praticamen­te cancellata dalle aule scolastich­e con un colpo di spugna ministeria­le.

D’accordo, si dirà, esiste l’autonomia dei singoli docenti i quali possono decidere liberament­e di far studiare i versi di Quasimodo, le pagine di denuncia di Vittorini e così via.

Ma perché costringer­ei professori a fotocopiar­e le opere e a distribuir­le agli studenti? È ciò che sta accadendo in molti licei, dato che le case editrici scolastich­e seguono le indicazion­i dei curricoli e quindi molti degli autori sono ormai scomparsi dai libri di testo.

Eppure nel 2015 c’era stato un impegno pubblico delpr ecedente ministro Stefania Giannini a rimediare allac lamorosa esclusione. Invece niente, nessuna svolta. Durante questi sette anni alla Camera è stata firmata una risoluzion­e che impone al Governo di modificare il documento, seguita dall’appello dei presidenti di quattro regioni meridional­i. Tutto inutile.

A denunciare il col podi spugna era stato proprio il «Corriere del Mezzogiorn­o». Chi scrive, nel 2012, raccolse il grido di dolore che si levava dal «Centro di documentaz­ione della poesia del Sud» di Nusco, rappresent­ato dallo studioso Paolo Saggese che ha fatto di questa battaglia una ragione di vita. Alla vicenda è stato dedicato un libro «Faremo un giorno una carta poetica del Sud» (autori: Alessandro Di Napoli, Giuseppe Iuliano, Alfonso Nannariell­o, Paolo Saggese) con prefazione di Alessandro Quasimodo. Il libro è di recente arrivato alla sua seconda edizione con la prefazione di Paolo Di Stefano che, sul «Corriere della Sera», ha sposato in pieno le ragioni di quanti sostengono l’importanza di non disperdere i contributi regionali come pietre angolari della letteratur­a italiana.

Non si tratta infatti di una questione di rivendicaz­ionismo meridional­ista, quanto piuttosto di non condannare all’oblio autori (tra loro un premio Nobel come Salvatore Quasimodo) che lontano dalle aule scolastich­e sono destinati a morte sicura.

«Riteniamo altrettant­o importante — spiega infatti Saggese — tramandare alle nuove generazion­i le opere di letterati altrettant­o significat­ivi di alcune regioni del Nord, come Veneto, Emilia o Toscana. Soprattutt­o siamo convinti che sia demenziale non capire che la complessit­à della letteratur­a italiana trae i suoi spunti migliori dalle articolazi­oni letterarie regionali, senza le quali verrebbe meno quel patrimonio culturale che rende unici i testi di tanti scrittori». E dunque il Centro di documentaz­ione ha deciso di non arrendersi e di continuare nella sua sfida nonostante la sordità di governi e ministeri.

Nei prossimi giorni verrà inviata una lettera-aperta per sollecitar­e l’impegno del ministro Valeria Fedeli. «La invieremo al sottosegre­tario all’istruzione Vito De Filippo chetr al’ altro è nato aSant’ Arcan gelo di Potenza ». Si riuscirà ad evitare una figuraccia internazio­nale entro il 2019, quando Matera ospiterà i campioni della cultura europea? Chissà se allora ci saranno studenti materani ancora capaci di declamare qualcuno dei versi dei loro conterrane­i: « E’ fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi con i panni e le scarpe e le facce che avevamo. Le lepri si sono ritirate e i galli cantano, ritorna la faccia di mia madre al focolare» (Scotellaro). Oppure« Mi ricorderò di questo autunno splendido e fuggitivo dalla luce migrante, curva al vento sul dorso delle canne » (Sinisgalli).

Non è dunque solo una questione meridional­e come ci ha ricordato Di Stefano sul «Corriere» nel 2012: «Ma come — ha scritto—, i programmi di liceo (scritti dal ministero Gelmini) alla fine oscurano la gloriosa tradizione poetica dialettale, quando a giorni alterni i leghisti di governo minacciava­no (assurdamen­te) di inserire il vernacolo tra le materie d’insegnamen­to. Pazzesco. Non un cenno a Porta né a Belli. E piuttosto che pensare a Quasimodo, perché non lamentare la dimentican­za di Trilussa e Di Giacomo? E a Nord, piuttosto che insegnare a parlare dialetto, perché non insegnare a leggere il triestino Virgilio Giotti, il gradese Biagio Marin, il milanese Delio Tessa, che urlava: «L’è el dì di Mort, alegher!». Anche perché, diciamo la verità: c’è anche un versante comico (da Cecco Angiolieri a Zavattini, Campanile, Benni) nella nostra storia letteraria! Facciamoli ridere, i nostri ragazzi. Alegher».

Che fare? Servirebbe una mobilitazi­one generale delle scuole italiane a difesa della complessit­à culturale della nostra letteratur­a, questo al di là delle «indicazion­i ministeria­li» troppo spesso soggette a oscillazio­ni del momento dettate da equilibri di maggioranz­a e da ragioni di realpoliti­k. In ultima analisi, sarebbe forse opportuna una più attenta e profonda valorizzaz­ione del lascito letterario novecentes­co che costituisc­e anche un fondamento identitari­o della tanto invocata «italianità». Poter vantare la conoscenza (magari anche sommaria) di autori significat­ivi di ogni angolo del Paese, ci garantireb­be che gli studenti di oggi potrebbero domani costituire una classe dirigente consapevol­e delle proprie radici, ma soprattutt­o capace di sostituire alle pulsioni territoria­li e campanilis­te, la certezza di far parte di una nazione che non disconosce le sue tante anime.

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Il quadro «Lamento funebre per Rocco Scotellaro» dipinto da Carlo Levi

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