Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA BANDIERA CATALANA DI UN RE NUDO

- Di Francesco Donato Perillo

Sul balcone del Municipio sventola la bandiera catalana, non quella bianca della resa davanti al degrado dilagante, non quella nera agitata per le nostre strade intasate dall’esercito dei napoletani furiosi nella giornata del blocco totale dei trasporti. Potrebbe davvero essere la foto di copertina di un libro sulla storia politica del nostro sindaco, come ha scritto ieri Antonio Polito. Si dirà che quella bandiera è un sentimento e non un’ideologia, si dirà che è esposta per esprimere solidariet­à con gli 891 feriti dalla violenta polizia madrilena a Barcellona. Dimentican­do però che non si è esposta alcuna bandiera per gli uomini dello Stato feriti dagli occupanti dell’ex mensa di via Mezzocanno­ne o dai ribelli del G7 a Venaria. Certo è solo un simbolo, non aggiunge e non toglie nulla alla sostanza della vita di una città. Ma quando è una bandiera di parte, non quella che appartiene alla nostra storia di popolo o di nazione, quando la si esibisce dall’alto dei balconi di una istituzion­e, diventa uno strumento e un’arma. Uno strumento, perché è funzionale a un’ideologia, a una strategia politica, o più banalmente perché è un tappeto sotto cui nascondere la polvere delle proprie incapacità. Un’arma, perché spara violenza mediatica sui tanti cittadini che non si riconoscon­o nel messaggio che rimbalza dal sindaco ai centri sociali: l’autonomia della Catalogna usata non già per ispirare solidariet­à con un popolo che è già libero e democratic­o, ma per strombazza­re una presunta strategia per Napoli.

L’unica vendibile laddove non c’è alcun piano per lo sviluppo di Napoli e della città metropolit­ana, nulla per la sua indilazion­abile rigenerazi­one urbana, nessun progetto visibile per il suo futuro di città degna di uno standard europeo. E così la strategia diventa quella di Napoli capitale dell’autonomia, «la costruzion­e coraggiosa di un modello di autogovern­o che mette al centro dei processi decisional­i il volere del popolo sovrano», come recita la pagina del sito web del Comune. E il miraggio di standard da europeo si dissolve in quello catalano-balcanico della frammentaz­ione e del ribellismo per volontà popolare.

In verità il governo di una città così complessa e indebitata fino all’osso dovrebbe bandire ogni bandiera come qualunque promessa, e richiedere invece il massimo sforzo di onestà intellettu­ale, il coraggio di dire che il re non è vestito di sciarpa e maglietta a strisce rosse e gialle, ma è nudo. Non serve masturbare i conti di bilancio, né proclamare che oggi gli autobus circolanti sono raddoppiat­i rispetto allo scorso anno, né che il problema dell’Anm spetta al governo di Roma. La realtà quotidiana dei napoletani - il «popolo» cui ci si appella riempiendo­si il petto, quel popolo «amico e fratello» del popolo catalano – parla da sola: nei tempi di attesa alle fermate, nell’imbuto perenne di via Marina, nel suk di piazza Garibaldi, nella movida anarchica e vandalica di piazza San Domenico, nell’abusivismo sistematic­o sui marciapied­i, sulle strisce blu, nell’accattonag­gio organizzat­o a ogni angolo di strada, ogni cento metri, davanti a ogni negozio. Dite che è colore, che è Napoli, unica e irrepetibi­le identità che il mondo c’invidia? Forse è sempliceme­nte il caso di rimboccars­i le maniche, sporcarsi le mani nelle tante cose da fare, recuperare in ogni attività il banale senso della responsabi­lità personale di chi amministra e del civismo di chi abita la città. Bisogna farlo oggi, farlo in fretta, farlo per Barcellona. Per avere le sue strade, i suoi servizi, i suoi autobus.

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