Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA BANDIERA CATALANA DI UN RE NUDO
Sul balcone del Municipio sventola la bandiera catalana, non quella bianca della resa davanti al degrado dilagante, non quella nera agitata per le nostre strade intasate dall’esercito dei napoletani furiosi nella giornata del blocco totale dei trasporti. Potrebbe davvero essere la foto di copertina di un libro sulla storia politica del nostro sindaco, come ha scritto ieri Antonio Polito. Si dirà che quella bandiera è un sentimento e non un’ideologia, si dirà che è esposta per esprimere solidarietà con gli 891 feriti dalla violenta polizia madrilena a Barcellona. Dimenticando però che non si è esposta alcuna bandiera per gli uomini dello Stato feriti dagli occupanti dell’ex mensa di via Mezzocannone o dai ribelli del G7 a Venaria. Certo è solo un simbolo, non aggiunge e non toglie nulla alla sostanza della vita di una città. Ma quando è una bandiera di parte, non quella che appartiene alla nostra storia di popolo o di nazione, quando la si esibisce dall’alto dei balconi di una istituzione, diventa uno strumento e un’arma. Uno strumento, perché è funzionale a un’ideologia, a una strategia politica, o più banalmente perché è un tappeto sotto cui nascondere la polvere delle proprie incapacità. Un’arma, perché spara violenza mediatica sui tanti cittadini che non si riconoscono nel messaggio che rimbalza dal sindaco ai centri sociali: l’autonomia della Catalogna usata non già per ispirare solidarietà con un popolo che è già libero e democratico, ma per strombazzare una presunta strategia per Napoli.
L’unica vendibile laddove non c’è alcun piano per lo sviluppo di Napoli e della città metropolitana, nulla per la sua indilazionabile rigenerazione urbana, nessun progetto visibile per il suo futuro di città degna di uno standard europeo. E così la strategia diventa quella di Napoli capitale dell’autonomia, «la costruzione coraggiosa di un modello di autogoverno che mette al centro dei processi decisionali il volere del popolo sovrano», come recita la pagina del sito web del Comune. E il miraggio di standard da europeo si dissolve in quello catalano-balcanico della frammentazione e del ribellismo per volontà popolare.
In verità il governo di una città così complessa e indebitata fino all’osso dovrebbe bandire ogni bandiera come qualunque promessa, e richiedere invece il massimo sforzo di onestà intellettuale, il coraggio di dire che il re non è vestito di sciarpa e maglietta a strisce rosse e gialle, ma è nudo. Non serve masturbare i conti di bilancio, né proclamare che oggi gli autobus circolanti sono raddoppiati rispetto allo scorso anno, né che il problema dell’Anm spetta al governo di Roma. La realtà quotidiana dei napoletani - il «popolo» cui ci si appella riempiendosi il petto, quel popolo «amico e fratello» del popolo catalano – parla da sola: nei tempi di attesa alle fermate, nell’imbuto perenne di via Marina, nel suk di piazza Garibaldi, nella movida anarchica e vandalica di piazza San Domenico, nell’abusivismo sistematico sui marciapiedi, sulle strisce blu, nell’accattonaggio organizzato a ogni angolo di strada, ogni cento metri, davanti a ogni negozio. Dite che è colore, che è Napoli, unica e irrepetibile identità che il mondo c’invidia? Forse è semplicemente il caso di rimboccarsi le maniche, sporcarsi le mani nelle tante cose da fare, recuperare in ogni attività il banale senso della responsabilità personale di chi amministra e del civismo di chi abita la città. Bisogna farlo oggi, farlo in fretta, farlo per Barcellona. Per avere le sue strade, i suoi servizi, i suoi autobus.