Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«I miei genitori? Per me sono morti Con loro non c’è mai stato dialogo»
«Certe cose non si riparano più Adesso voglio solo guardare avanti»
NAPOLI Ciuffo biondo sulla testa, alto e magro, sorride nonostante tutto. Francesco si rabbuia solo quando parla dei suoi genitori. Di sua madre, soprattutto.
«Per me è morta. Anzi, sono morti tutti e due. Ormai mi considero un orfano».
Sono parole durissime. Nonostante tutto l’hanno messa al mondo.
«Sì ma hanno tradito me, mia sorella Clelia che oggi ha vent’anni e la più piccolina che ne ha dieci. Ci sono cose che si rompono e non si aggiusteranno mai più. Come si può avere un rapporto con chi ti rifiuta, con chi lascia due ragazzi in una casa buia? Avevo sedici anni quando ci abbandonarono, quel giorno io e Clelia ci guardammo negli occhi: eravamo rimasti soli e c’era la piccolina da badare». E i servizi sociali? «Non ci hanno mai aiutato. Eravamo ragazzi in un appartamento, senza aiuto e senza mezzi di sussistenza. Io ho dovuto lasciare la scuola per parrucchieri, mia sorella pure. Ci siamo arrangiati con piccoli lavoretti, racimolavamo 20-30 euro al giorno. Dopo un po’ le cose sono precipitate, non riuscivamo a pagare le bollette e ovviamente ci hanno staccato luce e gas».
Mi sembra incredibile che nessuno dei suoi genitori si sia fatto vivo.
«Invece è andata proprio così. Mia madre aveva un nuovo compagno, mio padre si era rifatto a sua volta una vita. Lui si arrangiava come parcheggiatore, ha sempre avuto difficoltà a trovare lavoro. Papà non è cattivo, lui no, semplicemente è sempre stato poco presente. Anche rispetto alla mia omosessualità era indifferente. Nemmeno con mia madre ne abbiamo parlato apertamente, ma lei non approvava. Quando avevo 15 anni stavo con un ragazzino e lei voleva rivolgersi allo psicologo perché era convinta che avrei cambiato gusti sessuali».
Non ha mai avuto gesti di affetto nei suoi confronti?
«Quando ero più piccolo sì. Ricordo una volta: passeggiavamo per il centro del paese e c’era una bancarella con occhiali da sole falsi, me ne comprò un paio. E poi fino all’adolescenza festeggiavamo il mio compleanno con la torta come per tutti i ragazzini. Che dire? I miei genitori hanno sempre avuto un comportamento ambivalente: un giorno erano affettuosi, l’altro erano freddi e distanti. Però nemmeno tra loro le cose andavano bene, quand’ero piccolo per un periodo sono stato anche in comunità a Gragnano, dopo l’intervento dei servizi sociali».
Quindi in paese conoscevano la sua situazione?
«Certo. Sapevano che la mia era una famiglia con molti problemi, ma quando i miei si sono separati ed entrambi hanno lasciato casa nessuno si è più interessato a noi. Intanto io mi ero fidanzato con Giuseppe e lui, a sua volta cacciato da casa, viveva con noi».
Dunque eravate due ragazzi di sedici, una di diciotto e una bimba di otto anni abbandonati a voi stessi.
«Sì. Per quasi due abbiamo vissuto in questa casa che a un tratto è diventata buia e fredda perché mancavano elettricità e riscaldamento. Ci siamo arrangiati con vari lavori: io cameriere, mia sorella badava alla piccola, Giuseppe faceva l’aiuto pasticciere».
E dopo?
Hanno tradito anche mia sorella Clelia e l’altra, la piccola che aveva appena otto anni Nessuno ci ha mai aiutati tranne gli amici dell’Arcigay ai quali dobbiamo davvero molto
«Appena ho compiuto diciott’anni è arrivata la mazzata finale. A febbraio scorso, una brutta mattina siamo stati svegliati dall’ufficiale giudiziario e dai carabinieri. Ci hanno detto di andare via, ci hanno mostrato un documento. Avevamo le lacrime agli occhi. Siamo riusciti a stento a mettere le nostre cose nei sacchi per l’immondizia. Mia sorella piccolina è stata affidata a mia mamma. Clelia invece è andata a vivere a casa del suo ragazzo». Lei e Giuseppe? «È iniziata una vita avventurosa (ride, ndr). Le prime notti in giro con le nostre cianfrusaglie, dormendo sulle panchine. Nelle serate calde dormivamo in spiaggia a Mondragone o a Torre Annunziata. Ci lavavamo sotto le docce dei lidi. Eravamo disperati ma anche felici per il nostro amore. Cercavamo qualche lavoretto ma è stata un’impresa ardua. Alla fine ho telefonato a un mio amico di Bari per chiedergli aiuto. È stato lui a mettermi in contatto con Arcigay di Napoli. Così è scattata una mobilitazione commovente. Il presidente Sannino ci ha ospitati, ci hanno letteralmente sfamati. Poi è arrivato l’avvocato e la richiesta in tribunale. Ma so benissimo che dalla mia famiglia non avrò mai un euro perché loro stessi non se la passano benissimo. Ora io e Giuseppe viviamo in una piccola casa di Arcigay lontano da Napoli, ovviamente stiamo cercando lavoro perché non vogliamo pesare sulle spalle dei nostri amici».
Cristiano Malgioglio dalla casa del «Grande fratello» ha detto che vuole aiutarvi.
«Magari. Ne sarei felicissimo se ci consentisse di andare a salutare lui e gli altri ragazzi nella casa».
È stato già contattato da Mediaset?
«Non ancora, ma non escludo che accadrà».
Spero di poter vivere con Giuseppe e di trovare un lavoro che ci renda finalmente sereni