Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’OCSE CONFERMA I PROBLEMI DEL NOSTRO SISTEMA SCOLASTICO
Le recenti statistiche dell’Ocse, coi loro poco confortanti giudizi sulla qualità degli studi e degli studenti universitari in Italia non hanno sollevato questa volta le reazioni che simili statistiche solevano sollevare. Di solito, infatti, se ne inficiava il valore per i parametri che ne erano alla base e che venivano dichiarati incongrui alla realtà del Mezzogiorno. Dall’altro lato, si esaltavano, le numerose eccellenze e positività ritenute proprie della vita universitaria meridionale.
Detto con tutta la possibile carità di patria, queste repliche consuetudinarie a un verdetto relativo ad aree molto più vaste di quella italiana, che non poteva essere rubricato sotto la comoda etichetta dell’ an ti meridionalismo odi altri simili moduli polemici, non procuravano affatto una migliore e più ottimistica visione delle cose del Mezzogiorno.
Erano, infatti, facilmente classificabili dall’esterno sotto l’altrettanto comoda etichetta del vittimismo meridionale, mentre all’interno sfuggivano alla necessità di rendersi conto dei problemi in questione. Che questa volta simili reazioni non vi siano state o siano state, tutt’al più, marginali, è, quindi, da ritenere una buona cosa.
Una cosa tanto più buona in quanto molti dei commenti giornalistici (meno quelli ascoltati in radio e televisione) sono stati davvero interessanti per le loro osservazioni e sollecitazioni (anche se è stata quasi universale – in Italia non manca mai – la deplorazione dello Stato, che è il macroscopico alibi degli italiani in tutti i loro discorsi su se stessi e sull’Italia). In generale – e anche questo è significativo – i due aspetti prevalenti in tali commenti sono stati quello della impreparazione dei laureati italiani e quello del loro cattivo trattamento per i compiti a cui li si adibisce sul lavoro e per i compensi che ne ricavano. Due aspetti che sono, purtroppo, e in specie il secondo, fra i tratti meno confortanti nel panorama sociale e culturale del paese.
Anche, però, un altro aspetto messo in luce dall’Ocse pare a noi del massimo rilievo su molti piani della vita nazionale. L’Ocse ha, infatti, rilevato che in Italia rimane alquanto basso il numero degli studenti universitari, e ancora di più quello dei laureati. È un dato non nuovo, che, tuttavia, non ricorre quasi mai nei discorsi italiani in materia universitaria. Si ha, anzi, l’impressione che nel paese vi sia la convinzione che di studenti universitari ve ne siano anche troppi, con un sicuro danno sociale. Tutt’altro che rara è, del resto, la deplorazione del carattere di massa che avrebbe assunto l’Università italiana e l’imputazione a tale carattere della cattiva qualità degli studi universitari. L’Ocse ristabilisce la verità delle cose: in Italia l’Università non è sovradimensionata. Al contrario: è sottodimensionata, e andrebbe, perciò, debitamente incrementata.
Per valutare appieno questo rilievo nella sua portata culturale e civile, economica e sociale, occorre riflettere su due punti che dovrebbero essere a tutti ben noti. Il primo è relativo al fatto che il livello di istruzione, anche universitaria, tende a crescere in ogni parte del mondo. La globalizzazione e le tecniche informatiche hanno, inoltre, determinato un netto elevamento del grado di preparazione culturale e tecnologica necessario per inserirsi nel mercato globale del lavoro. Basta pensare alla quantità di lavoro, anche specialistico e di alta qualificazione tecnica, che ormai viene svolto a distanza in quello che una volta era chiamato «terzo mondo» su commissione dei paesi più sviluppati, determinando una concorrenza fortissima anche nel mercato del lavoro di tali paesi.
Il secondo punto è per l’Italia più delicato e, insieme, più importante. In Italia c’è, infatti, un deficit scolastico strutturale, che parte dalla inosservanza diffusa e rilevante dell’obbligo scolastico. Non è un caso che il divario italiano rilevato dall’Ocse a livello universitario sia notato, sia sul piano quantitativo per la inosservanza dell’obbligo scolastico, sia sul piano della qualità degli studi, da tante altre rilevazioni agli altri livelli scolastici, e in specie per le scuole secondarie. Per ciò accade spesso di sentir dire che l’istruzione universitaria in Italia è afflitta da un livello pre-universitario di forte deficienza. Che in parte è un argomento da scaricabarile, ma in altra parte coglie un elemento reale della situazione italiana, nel cui generale contesto va quindi inquadrato anche il divario scolastico tra Nord e Sud.
In conclusione, resta provato che in Italia l’Università, lungi dall’essere troppo diffusa, ha ancora da coprire un grandissimo spazio sociale e culturale, mobilitando al suo livello di studio una fetta alquanto più ragguardevole della società italiana. Ciò imporrebbe un discorso che da nessuna parte si vede davvero sollecitato sulla geografia, le dimensioni e altri aspetti delle Università italiane, il cui risalto nella vita pubblica e nelle cronache nazionali è più segnato da scandali, procedure giudiziarie, ricorsi amministrativi che da altri e più sostanziali aspetti di ciò che è e che fa l’università. Non per questo, visto quanto è accaduto finora in questo campo, noi augureremmo subito l’ennesima riforma del settore. Sarebbe già qualcosa se si prendesse coscienza di questi problemi, e se li si cominciasse ad avvertire come problemi, urgenti e decisivi per il futuro del paese, che non cominciano e non si esauriscono all’interno dell’Università. Certe soluzioni ne potrebbero forse venir fuori da sé.