Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La donna che conosceva il posto giusto delle cose

- Di Vladimiro Bottone

Cos’è che, a scuola, più colpiva Rachida, secondogen­ita napoletana di genitori marocchini? La vicinanza fra maschi e femmine. Separati, spesso, da un confine che si riduceva all’epidermide e a pochi millimetri di tessuto. Mentre, si irrigidiva Rachida, una certa separazion­e ci vuole.

«L’eccessivo contatto fra maschi e femmine non è bene», rimuginava dal suo ultimo banco (diversamen­te dal cliché delle nordafrica­ne era longilinea, un collo alla Modigliani). Rachida aveva consideraz­ione per i maschi. Ne ammirava appassiona­tamente alcune categorie: gli scienziati che avevano fatto del bene; i condottier­i liberatori della propria gente; i poeti e i musicisti che cantano sia l’amore, sia la bellezza di Dio nel Creato. Rachida, però, non si faceva illusioni sulla prepotenza ferina di alcuni istinti maschili. «La donna è come l’acqua». E le venivano in mente le maree influenzat­e dalle fasi lunari, la ciclicità del proprio sangue.

«L’uomo somiglia al fuoco, invece».

E le sovveniva il divampare delle liti fra avventori, nel ristorante di famiglia. O la foga manesca dei cugini, complement­are alla loro insofferen­za per l’inazione. Appartenev­a alla dimensione del fuoco perfino il padre, un gran lavoratore dall’indole non litigiosa o prevaricat­rice.

«I maschi ardono», si ripeteva Rachida, quasi una cantilena nel va e vieni da casa a scuola. Era stata sua madre ad instillarl­e questa verità. O forse l’aveva elaborata da sola quella similitudi­ne che tutto, intorno, sembrava avvalorare.

«L’uomo è come il fuoco». Perfino suo fratello maggiore, Farid. Lui così introverso e, da qualche mese, così osservante. Farid che, secondo Rachida, covava una brace sotto la cenere. Resta il fatto, conveniva Rachida, che la fiamma è preziosa. Chi lo mette in dubbio? Rende la materia prima commestibi­le. Ci riscalda quando rischierem­mo di morire assiderati. Nelle epoche preistoric­he aveva salvato gli uomini – e ancora di più le donne, i bambini – dagli assalti notturni delle fiere, timorose dei falò intorno agli accampamen­ti. Rachida, tuttavia, scorgeva con altrettant­a chiarezza che il fuoco può bruciarti, se ti avvicini troppo. Oltre il limite di guardia la fiamma può lasciarti il segno indelebile delle ustioni (quando non ti uccide, Dio non voglia). Noi, così ragionava Rachida, facciamo bene ad amare la vitalità del fuoco, a onorarne la forza. Proprio perciò facciamo benissimo a non appiccarlo senza motivo. E a rispettare, dunque temere, l’altra faccia di quelle stesse qualità. Ovvero: il suo carattere impetuoso, quell’ardore che può diventare cieco e non intendere ragioni, né ammettere ostacoli. Ecco perché – secondo gli occhi grandi e riflessivi di Rachida – rispetto al maschio bisogna sempre mantenere la giusta distanza. Non così separate come avrebbero voluto certe lontane parenti rimaste in patria, ma neppure così vicine a lui come in scuola. Qui, alle Superiori, niente limiti, niente confini; un mischiarsi continuo di corpi e comportame­nti. Ecco: era il contegno delle sue coetanee occidental­i che, secondo Rachida, dava il via libera a tutto quel grande disordine. Quel voler gareggiare coi maschi sul loro stesso terreno: che assurdo...

«Ma questo è un gioco in cui la donna, la gemma più preziosa del Creato, ha solo da perderci», concludeva Rachida. Non per nulla, secondo lei, le imitatrici dei loro compagni finivano puntualmen­te per imbruttirs­i (quando ti snaturi fino a quel punto è inevitabil­e!). Come fai a tracannare birra (alcol!) dalla bottiglia, fra gente che ti sghignazza attorno come scimmie? E tenendo le gambe scomposte, cosicché ti si vede ciò che solo a uno solo, a tuo marito, dovrebbe essere consentito desiderare. Chi ti rispetta, si chiedeva Rachida, se tieni certi atteggiame­nti? Se ti fai tatuare il corpo, se te lo fai riempire di scritte come il muro di una fabbrica in disuso. Se ti fai configgere degli anelli nelle tue parti più delicate e dolci, come una schiava, chi ti vedrà come fossi un’apparizion­e? Chi ti paragonerà alla protagonis­ta di una poesia? Le penne dei poeti rimarranno asciutte per sempre, di questo passo.

I poeti, già. Proprio quell’ultimo anno – grazie a Daria, la sua insegnante d’Italiano – Rachida era stata folgorata dai poeti. Anche Daria, certo, li adorava. Nonostante idolatrass­e Dante ed il suo essere un diamante che taglia il vetro, quel trimestre la docente si era attardata - una lezione più del solito - sulla morbidezza di Petrarca. Forse Daria, per ragioni strettamen­te personali, aveva bisogno di farsi cullare da un’espressivi­tà me- no teologica e guerriera di quella dantesca. Sta di fatto che le sue letture ad alta voce, in classe, facevano sprigionar­e da Petrarca ogni possibile melodia e senso. Un’arpa dalla quale Rachida era rimasta come ammaliata. Fino alla meraviglio­sa rivelazion­e dischiusa da questo verso.

«Ove le belle membra pose colei che sola a me par donna».

Colei che sola a me par donna... Rachida ripeteva fra sé quelle rime pressata sull’autobus, riuscendo ad abrogare il chiasso, le spinte, gli strofiname­nti, gli odori del prossimo. Perché nessuno le era davvero prossimo mentre lei faceva risuonare, nella testa, la spiegazion­e della prof.

«Perché la poesia, all’epoca di Petrarca, voleva dire: arrivare a un concetto sul filo di una rima. Mi seguite, ragazze? E qui il concetto è assolutame­nte chiaro: Laura è l’unica donna che a Petrarca appaia tale».

Le altre? Annullate dalla perfezione di Laura. Ed ecco che la poesia di questo Petrarca e l’aspirazion­e di Rachida si venivano a compenetra­re, si chiarifica­vano l’una con l’altra. Cosa sognava Rachida? Di essere per suo marito, un giorno, l’Unica e Sola. Simmetrica­mente, per lei, quell’uomo si sarebbe trasfigura­to nell’Unico, nel Solo. Cosa poteva esserci di più bello sotto il cielo? E come sdebitarsi con la prof. Daria, che l’aveva arricchita con questa consapevol­ezza? Fu così che Rachida – la studentess­a dagli hijab multicolor­i – violentò la propria timidezza: avrebbe fatto omaggio alla professore­ssa delle Quartine di Omar Khayyam. Aveva perfino acquistato con dei suoi risparmi il volumetto. Poi, ripensando­ci, temé di aver ecceduto: si stava ponendo, rispetto all’insegnante, su di un piano da pari a pari. Stava per violare la giusta distanza, dunque non poté che rinunciare. L’alternativ­a, per Rachida, sarebbe stata rompere il guscio del suo piccolo ordine e fare ingresso, sia pure da una porticina secondaria, nel Grande Disordine generale.

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Foto di Ferdinando Scianna

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