Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Béchar, il Fiano d’Avellino che ricorda il deserto
Antonio Caggiano re dei rossi nell’area del Taurasi, è riuscito a conquistare ulteriore rinomanza anche con i suoi bianchi. Il primo, il Fiagrè, fu concepito nell’ormai lontano 1994, nella prima fase della rivoluzione enologica regionale, tanto per avere un’alternativa ai più impegnativi rossi a base di aglianico. Spero che qualche bottiglia di quell’eroica prima annata sia ancora rimasta in qualche nicchia per poterne verificare un giorno o l’altro la tenuta, fino a qualche anno fa, incredibile per un prodotto non concepito specificamente per il lungo invecchiamento. Il salto di qualità con l’ampliamento della suggestiva cantina. Il secondo bianco in ordine cronologico ad entrare in produzione è stato il Béchar, un Fiano di Avellino docg che nel nome ricorda una regione desertica dell’Algeria, location di uno dei più riusciti reportage fotografici di Antonio. Ed è proprio di questo vino, dell’annata 2016, che torno a parlarvi. Molto suggestivo il colore paglierino con screziature verdoline abbastanza evidenti. Limpido e consistente. Il profilo olfattivo è abbastanza tipico, rispecchia cioè in pieno le caratteristiche del Fiano irpino. Incipit floreale, propone fragranze di zagare, di pera matura, coloritura di macchia mediterranea, infine caratteristici sentori di miele. Pieno e rotondo al palato, risulta equilibrato nonostante la giovane età, grazie alla sostenuta freschezza e alla corroborante vena minerale che accompagna il sorso fino al suo lento esaurirsi. Bianco coerente che, nonostante la tipicità già sottolineata, riesce a soddisfare un pubblico abbastanza ampio. Da bere, ben freddo (8-10 gradi) su crostacei crudi e cotti, sulle minestre di mare con pesci di scoglio, sui tranci di grandi pesci come la ricciola o la cernia bruna. Lo consiglio anche sulle carni bianche e sul carpaccio di Fassona.