Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Pizzini digitali, ispettori nelle carceri «Molti buchi nei controlli all’ingresso»
Usb e sim a Fuorni e Airola per collegarsi con l’esterno, il Dap: «Operatori infedeli»
NAPOLI Operatori penitenziari «infedeli» chiuderebbero un occhio - e talvolta tutti e due durante i controlli agli ingressi degli istituti di pena. Agenti di polizia, infermieri, educatori, medici, volontari: nessuno escluso.
È questo il sospetto su cui fonda l’apertura di una maxiinchiesta del Dap - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - su i due carceri della Campania finiti nella bufera e ora sotto indagine: Airola, l’istituto minorile dei selfie e delle dediche dei babyboss su Facebook a mamme, fidanzate a alla «famiglia», e Fuorni, dove la camorra è diventata «4.0» e riesce a veicolare messaggi all’esterno grazie a pen drive che i familiari riescono a passare sottobanco e che vengono «lette» dai computer in dotazione nella struttura penitenziaria durante i corsi scolastici. Lo ha raccontato sabato il Corriere del Mezzogiorno spiegando il sistema, vecchio e rodato da decenni ma sempre attuale, attraverso cui i parenti dei reclusi fanno entrare all’interno delle carceri sia telefoni cellulari con micro sim quasi del tutto invisibili, che archivi digitali nei quali ci sono file che contengono messaggi cifrati: testi di canzoni, sequenze di numeri, pagine internet in «remoto» alle quali si può accedere senza connessioni internet. E anche se le ispezioni nelle celle si susseguono quasi quotidianamente, le maglie del sistema di sicurezza sono troppo larghe e rendono insicure e poco incisive tutte le misure di prevenzione messe in atto dai due direttori dei penitenziari che se pur con impegno e dedizione non riescono a rendere le strutture inviolabili. Perché? È quello che si chiede il Dap che ha aperto una indagine per cercare di comprendere dove si annidano le falle del sistema-sicurezza e se ci siano responsabilità «interne», ovvero responsabilità dovute alle «inadempienze» o peggio ancora «all’infedeltà» degli operatori che lavorano all’interno delle due strutture. Gli «investigatori» inviati dal Dipartimento, organismo che gestisce tutta «la vita» e l’organizzazione nelle carceri, studieranno ciò che è stato fatto in questi mesi dal punto di vista delle sicurezza interna e quanto possano incidere i comportamenti degli operatori che dal canto loro sono pronti a dimostrare la propria abnegazione e fedeltà. Ciò che è certo è che c’è un calo d’organico che crea non solo agitazione negli agenti, che più volte hanno fatto sentire la loro voce tramite i sindacati di categoria, ma anche insicurezza. «Il cosiddetto e sbandierato “regime aperto” non può essere attuato senza il personale di polizia penitenziaria, senza strumenti tecnologici adeguati. E il ministro Madia cosa fa? Incredibilmente decide di tagliare 4mila unità sulla pianta organica - accusa Ciro Auricchio, segretario regionale dell’Unione sindacale di polizia penitenziaria - Ostinarsi poi a detenere nei penitenziari per minori anche ragazzi fino a 25 anni vanifica tutte le possibilità di recupero», ha concluso.