Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Se il Nord butta giù la scala
Per tutta risposta, la Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea ha reagito prontamente criticando la matrice rivendicazionista dell’iniziativa nel merito e nel metodo. In questi giorni, tuttavia, emerge qualcosa di ulteriore. Qualcosa che, al di là del merito e del metodo del discorso sudista, non quadra nella sua logica. Un corto circuito. Un’incongruenza. La Storia dei vinti, infatti, suole fare appello in modo unilaterale al depauperamento del Meridione, sia in termini di risorse sia in termini di sfruttamento del lavoro migrante dal Sud. Lavoro senza il quale il «decollo» delle regioni del Nord sarebbe stato impossibile. Pertanto è quantomeno bizzarro che di fronte ai referendum sulle autonomie di Lombardia e Veneto, o all’iter intrapreso dall’Emilia Romagna, o agli slanci indipendentisti che vorrebbero il Piemonte ulteriormente suddiviso, i sudisti tacciano, laddove non approvino.
Tant’è che mentre i leghisti propongono di trattenere quote crescenti del residuo fiscale sulla base dell’istantanea della situazione attuale dimenticando la Storia, solo i rappresentanti del Governo riaffermano il principio di solidarietà tra le diverse regioni del Paese. Nessun agguerrito sudista alza le barricate per rivendicare che il principio di solidarietà sancito dalla Costituzione, e ribadito a più livelli dall’ordinamento giuridico repubblicano, non è un gesto di filantropia. E non è neppure un obbligo morale. Ciò che va sotto il nome di principio di solidarietà è un meccanismo di perequazione e di compensazione territoriale, nonché di redistribuzione delle risorse politiche, la cui raison d’être risiede e continua a risiedere proprio nella storia e nella geopolitica dello sviluppo ineguale che lega (in)dissolubilmente il Nord al Sud.
I sedicenti radicali dell’appartenenza identitaria meridionale accettano che il Nord butti giù la scala, senza rivendicare ciò che la Storia, a loro dire, deve loro. E, paradossalmente, restano inerti sugli stessi temi che, invece, animano le loro chiacchiere da caffè o infiammano di furori anti-settentrionali i loro post-partita, sobillati da quanti costruiscono carriere parlando di colonialismo, pur limitandosi a fare surf sulla superficie delle onde che spingono in direzione opposta rispetto all’analisi approfondita dei processi di formazione e di disgregazione degli stati-nazione europei. Sarà che i sudisti sono i primi a non prendere sul serio loro stessi o la Storia dei vinti. Sarà che si accontentano degli slogan. Sarà che la ridondanza di quegli slogan ha valore rituale più che analitico: serve solo come mito fondativo di comunità immaginifiche perché, come la superstizione, produce effetti di verità al di là di qualsivoglia consistenza logica. È per questo, allora, che a nord buttano giù la scala mentre a sud non ci passano neppure sotto.