Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Senza idee innovative gli atenei campani non attraggono studenti
Ma per Apple arrivano anche dall’estero La sfida della scuola della Normale a Napoli
Nel 2003-2004, in base ai primi dati registrati dall’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur, i ragazzi che arrivarono a Napoli da altre regioni per iscriversi all’Università Federico II furono poco meno di mille, precisamente 962 su 38.533 matricole, cioè uno ogni 40 nuovi iscritti. Il gruppo più folto veniva dal Lazio, con 249 ragazzi. Parecchi altri arrivavano dalle vicine regioni meridionali: 181 dalla Basilicata, 115 dalla Puglia, 106 dalla Calabria. Ma c’erano anche piccoli contingenti dal Nord: 32 dalla Lombardia, 24 dal Veneto, 19 dall’Emilia Romagna, 11 dal Piemonte. Insomma l’Ateneo di Napoli accoglieva un numero non eccezionale ma neppure trascurabile di studenti provenienti da altre parti d’Italia.
Già da tempo, però, stava prendendo piede la tendenza all’apertura di nuove università un po’ dovunque, anche nella stessa Campania. Nel ’68 erano nate la Mediterranea di Reggio Calabria e l’Università di Salerno, nel ’72 l’Ateneo della Calabria a Cosenza, dieci anni dopo l’Università della Basilicata a Potenza, nel ’98 l’Ateneo del Sannio a Benevento e l’Università Magna Grecia a Catanzaro. Nel frattempo, nel 1991, la Federico II aveva gemmato il Secondo Ateneo, poi ribattezzato Università della Campania, con sedi tra Napoli e Caserta. Il proliferare di nuove accademie non ha mancato di far sentire i propri effetti, mentre già le iscrizioni calavano. Così nel 2006-2007 gli studenti arrivati a Napoli per immatricolarsi alla Federico II sono scesi a 569 su 36.944 nuovi iscritti, cioè circa uno su 65. Dieci anni dopo, nel 2016-2017 sono ulteriormente diminuiti, fino a 492. Tuttavia, considerando che complessivamente gli immatricolati sono stati 32.546, il rapporto non è cambiato molto: un non campano ogni 66 nuovi iscritti. È comunque ormai consolidata la tendenza che vede arrivare ben pochi studenti di altre regioni in quello che resta il più grande e importante ateneo del Mezzogiorno (e il secondo d’Italia dopo La Sapienza di Roma), mentre sono invece tra 4 e 5 mila ogni anno i ragazzi che lasciano la Campania per andare a studiare altrove per la laurea.
Sebbene consolidata, la tendenza forse non è irreversibile, come dimostra una novità che ha rapidamente destato l’interesse dei giovani per ciò che avviene nel mondo accademico napoletano. La novità è costituita dalla Apple Academy, della quale si è molto parlato sin da quando a Roma, nel gennaio 2016, ne annunciarono la nascita l’allora premier Matteo Renzi e Tim Cook, amministratore delegato di Apple. Ma se le prime reazioni possono anche essere fuorvianti, al secondo anno di corso è possibile cogliere alcuni elementi di certezza e altrettanti segnali positivi. Forniti dai numeri. Attualmente gli iscritti ai corsi per programmatori di app sono 378, 123 dei quali non originari di Napoli e della Campania. Anzi, con i 301 italiani ci sono ben 77 ragazzi stranieri. Tra loro, 20 sono originari del Regno Unito, 17 brasiliani, 7 tedeschi, 5 statunitensi e altrettanti francesi, 3 provengono dalla Grecia e 3 dall’Olanda. Altri ancora vengono dai più disparati paesi: dall’Algeria e dal Canada, dall’Estonia, dagli Emirati Arabi Uniti, dal Venezuela e così via. Tra gli italiani, i campani sono 255, quelli che provengono da altre regioni 46, circa uno su 6. Un altro progetto avviato successivamente va nella stessa direzione. È il corso di alta formazione in Storia e filologia del manoscritto e del libro antico promosso dalla Federico II nell’ambito di un accordo sancito col ministero dei Beni culturali. Il corso ha durata biennale e si svolge presso il Dipartimento di Studi umanistici e nel Complesso Oratoriano dei Girolamini di Napoli. Le domande pervenute nel marzo scorso sono state 150 a fronte di soli dieci posti disponibili e altri dieci per uditori.
La nuova sfida, di dimensioni verosimilmente molto più ampie, sarà quella della Scuola di alta formazione da allestire in collaborazione con la Normale di Pisa, il cui rettore è un napoletano, il professore Vincenzo Barone, laureato in Chimica alla Federico II nel 1976, quindi allo stesso tempo affezionato all’ateneo d’origine e consapevole dei problemi del territorio su cui insiste.
Il rettore federiciano e presidente della Crui Gaetano Manfredi ha affermato di aspettarsi «che le istituzioni nazionali e locali, come ha già ricordato Barone, «non faranno mancare il loro sostegno, un sostegno che deve essere duraturo nel tempo» e ha precisato che «entro il 2018 ci debbono essere le prime concrete attività». Il rettore ha sottolineato che «la Federico II è fortemente intenzionata a sostenere il progetto e lo farà con tutte le sue energie. Ma non basta». Ecco, questo è il problema.