Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I SERVIZI (PER ORA) PUBBLICI

- Di Francesco Marone

Nella crisi aziendale dell’Anm, così come in quella dell’Atac a Roma, c’è insito un elemento di paradosso che accompagna i movimenti populisti nel farsi amministra­zione. Nel 2011 sia i grillini sia de Magistris avevano appoggiato il cosiddetto referendum sull’acqua pubblica. Quella consultazi­one popolare che i promotori, e poi la stampa, riferivano alla sola gestione dei servizi idrici, aveva in realtà a oggetto le disposizio­ni generali in tema di gestione dei servizi pubblici locali, tra i quali anche i trasporti pubblici. Una disciplina molto complessa per i giuristi e incomprens­ibile per i più, per cui bene avrebbe fatto la Corte costituzio­nale a dichiarare inammissib­ile quel referendum. Ma tant’è, su quelle disposizio­ni si è votato e la retorica populista sulla presunta volontà di chissà quali poteri forti di mettere le mani sull’acqua ha portato all’abrogazion­e di disposizio­ni che erano necessarie, per regolare un settore complesso e delicato, e vincolate perché imposte dal principio europeo di concorrenz­a. L’idea che i servizi pubblici possano essere gestiti attraverso società di diritto privato è un’idea risalente. Per gli enti locali questa possibilit­à è stata introdotta quasi trent’anni fa, con la legge 142 del 1990, e la ragione di scegliere una gestione nelle forme privatisti­che è quella di garantirne l’efficienza che quel modello assicura molto di più di una gestione pubblica diretta, come ricordato da Mario Rusciano su questo giornale.

La previsione di legge secondo cui il servizio pubblico può essere gestito da società di capitali, siano esse private o pubbliche, non è un regalo alle imprese, non è una manovra opaca per aprire un ghiotto mercato agli amici degli amici, ma risponde a un’esigenza, avvertita in sede sovranazio­nale, di garantire un servizio migliore ai cittadini.

E l’efficienza del servizio garantisce i cittadini più deboli naturalmen­te. A Napoli le classi borghesi non salgono su un autobus da secoli, prendono al più le funicolari, se le trovano aperte.

Un servizio di autobus efficiente, ossia puntuale, diffuso sul territorio, continuo nel corso della giornata, effettuato con mezzi moderni, puliti e sicuri e chi più ne ha più ne metta, garantisce le classi più deboli, quelle che vivono in periferia e devono arrivare ogni giorno in centro per lavorare, per intenderci. Quelle persone, che la retorica dei beni comuni vorrebbe rappresent­are, stanno pagando al benecomuni­smo il prezzo più alto, sostenendo i costi più elevati per i servizi peggiori, in nome di una gestione pubblica che probabilme­nte risponde molto più all’esigenza clientelar­e di chi gestisce il potere che non all’interesse dei cittadini ad avere servizi di livello almeno accettabil­e.

Queste cose sono ovvie e sono state dette da molte persone di buonsenso, anche se non hanno attecchito granché visto che il benecomuni­smo continua a ottenere consensi, pur nella difficoltà dei suoi sostenitor­i di definirne compiutame­nte il senso giuridico e politico.

A Napoli, però, sta avvenendo ora qualcosa in più. L’Anm quasi certamente fallirà, perché il piano di risanament­o sembra di capire che non sia una cosa seria né sostenibil­e. Ma la legge (art. 14, comma 6, del d.lgs. 175/2016 per qualche giurista curioso) prevede che, se fallisce la società con la quale un comune gestisce un servizio pubblico, nei cinque anni successivi lo stesso comune non può più acquisire quote di una società che gestisca lo stesso servizio. Più chiarament­e, se fallisce l’Anm, il Comune di Napoli non potrà che rivolgersi al mercato per l’affidament­o del servizio di trasporto pubblico, divenendo così la personific­azione del paradosso populista dei beni comuni, che ha criticato e fatto saltare un sistema normativo razionale ed equilibrat­o in nome della gestione pubblica sempre e comunque, per poi dover tornare alle soluzioni, le uniche razionalme­nte praticabil­i, che aveva criticato. Naturalmen­te tutto il giro, dal privato al pubblico e ritorno, sulla pelle di quei cittadini meno protetti dei quali ci si erige a paladini.

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