Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quella borghesia snob e di facciata che insidia le lolite avellinesi
La facciata, derivante dal termine faccia, è la parte esterna anteriore, frontale, di un fabbricato, o anche, consultando la Treccani, «ciò che appare di fuori, l’apparenza esteriore». Questa definizione è alla base della mia riflessione su quanto sia accaduto ad Avellino, «tranquilla» città dell’appennino del Sud, negli ultimi tre anni: un ottantenne ha gestito al centro della città, in un sedicente circolo, una vera e propria rete di prostituzione minorile, i cui clienti abituali erano ricchi professionisti, clienti vip, come sono stati definiti. Ora chi vive ad Avellino come me, sa di abitare in una città di provincia in netto declino.
Una città in cui chi resta ha sempre più difficoltà di condurre una esistenza «civile», una città, unica in Campania, a non avere un polo Universitario e un vero collegamento ferroviario. Chi se la scorda Avellino prima del terremoto: i marciapiedi di terra battuta lungo il viale dei platani, i basolati di pietra lavica per il corso, case signorili con logge e cortili e giardini ad orto sul retro. Intorno era campagna e colline, un paesaggio di vigne e noccioleti e case padronali in tufo. Una città piovosa e fredda, per quell’essere accartocciata in mezzo alle montagne, ma quando veniva il sole ne era invasa e sul Corso, che l’attraversava come l’equatore, si formavano due zone diverse: il marciapiede dell’ombra e quello della luce.
Il senso di questa città, l’ho capito dopo, era nella scelta tra libertà o tutela, in quel bianco e nero, in quel non saper mescolare la luce col buio. Per anni il marciapiede col sole fu frequentato da pochissime persone, quasi che il calore potesse sciogliere le menti. La città preferì l’ombra e questo, per quegli anni di cambiamento, fu un fatale errore. Negli ultimi anni, la città, cieca, è peggiorata e ha assunto una faccia stropicciata, tipica di chi non si prende cura di sé. I negozi al Corso sono stati fittati per cifre altissime (eppure vendono oggetti di pochi euro), edifici pubblici hanno chiuso all’improvviso (Teatro Carlo Gesualdo, Casina del Principe ) altri, costruiti dopo il terremoto, sono in stato di abbandono (Mercatone ed Ex Gil), opere pubbliche sono iniziate e mai finite, come l’Autostazione e il Tunnel.
La città è un perenne cantiere inconcluso. È un perenne partire di giovani , laureati e non. La borghesia, che prima abitava al Corso, si è allontanata dal centro città immiserito, che diventa, nei giorni di festa, il luogo del tutto è possibile: dalle gare di bicicletta, al Bimboday, al concerto di Ferragosto, alle bancarelle di Natale. Questa classe ha cercato rifugio in lussuosi parchi privati, che in pochi anni sono sorti sulle colline intorno, complice un piano regolatore post terremoto. La borghesia, quella dei professionisti, degli imprenditori, si è così costruita un piccolo paradiso fatto di villette panoramiche, circondate da giardini e palmizi, di- fese da cancellate robuste e guardie giurate, e si è organizzata un’esistenza «altra»: circoli, viaggi, cene, piscine, ricchi premi e cotillons! Ha cercato e ha indossato una diversa faccia, un po’ botulinica, magari, ma di rassicurante giovinezza.
Non si spiegherebbe, altrimenti, come questo ceto sociale che ad Avellino vive e prospera, sempre attivo nelle decisioni politiche, sempre pronto a lamentarsi del degrado cittadino, deciso ad inviare i propri figli alla Bocconi o alla Cattolica per costruirsi «un avvenir migliore», potrebbe sopravvivere alla mancanza di una vita civile, un cinema vero, librerie, ristoranti, passeggiate, mostre, teatro, cultura, negozi, arte.
È forse questa schizofrenica esistenza, questo scollamento tra la città reale e la città rifugio, la matrice di ciò che è stato scoperto ieri. I borghesi vip che pagano ragazzine, per i loro desideri sessuali.
Lolite e lolitine, appartenenti ai quartieri popolari della città, lontanissime dal loro piccolo paradiso, che non avrebbero mai incontrato nella loro esistenza di facciata.
Gli uomini «bene» che pagano le ragazze: il risultato dello scollamento degli ultimi anni tra la città reale e la città rifugio