Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Conservatori, niente pianisti per gli esami
Il primo violoncello del San Carlo: «Allievi costretti a pagare un professionista»
Aproposito di Conservatori. Ogni tanto se ne parla. In questi giorni con interrogazioni parlamentari e paroloni. Vengono dipinti come istituzioni che «danno lustro» al nostro Paese ma con tetti che cadono a pezzi e storture amministrative. C’è una cosa, però, che non è stata detta: mancano i pianisti professionisti e gli allievi che devono affrontare un esame che necessita di un accompagnamento sono costretti a pagarli di tasca propria.
Aproposito di Conservatori di musica italiani. Ogni tanto se ne parla. In questi giorni addirittura interrogazioni parlamentari, titoloni, paroloni. Si leggono articoli dove vengono dipinti come istituzioni prestigiose, istituzioni che «danno lustro» al nostro Paese. Si citano i compositori del Settecento, dell’Ottocento, del Novecento che in queste istituzioni si formarono. Poi si parla dei tetti che cadono a pezzi, dell’acqua nelle aule, delle storture amministrative eccetera eccetera. Insomma, questi Conservatori italiani «danno lustro» o cadono a pezzi? Non si capisce. Non è chiaro.
Ora vi racconto una storia. È una storia musicale, ma non voglio farmi capire dai musicisti. Voglio farmi capire da chi non è musicista, da chi ha poco o nulla a che fare con la musica classica. Voglio farmi capire da qualunque individuo dotato di normalissima intelligenza, di normalissimo senso pratico, di normalissimo buon senso. Pronti? Allora comincio. C’era una volta un allievo di Conservatorio che doveva sostenere un esame. In cosa consisteva l’esame? Nell’esecuzione di un concerto per violoncello e orchestra di Robert Schumann e nell’esecuzione di una Sonata per violoncello e pianoforte di Johannes Brahms. Schumann e Brahms sono figure importantissime, sono pietre miliari nella storia della musica, universalmente note, previste negli esami di tutti i Conservatori del mondo.
Vado avanti. Il concerto di Schumann è stato scritto da Schumann in modo che il violoncello sia accompagnato da un’orchestra. La Sonata di Brahms è stata scritta da Brahms per due strumenti, il violoncello e il pianoforte. Voi direte: allora all’allievo servirà un’orchestra per poter sostenere la parte d’esame che prevede l’esecuzione del concerto di Schumann! Invece no, non è necessaria l’orchestra. I concerti per strumento solista e orchestra sono sempre editi in forma «ridotta», ovverossia la parte orchestrale la può eseguire un pianista dotato di uno spartito che «riduce» le tante voci orchestrali in modo tale che possano essere eseguite da lui, lui solo. In altre parole, l’orchestra è sostituita da un semplice pianoforte. Altrimenti sarebbe complicato studiarlo, provarlo, il concerto. Bisognerebbe avere un’orchestra in tasca: a casa, a scuola, in giardino, in salotto. Forse un Re potrebbe, ma tutti gli altri studenti no. Quindi, per fortuna, è sufficiente un pianista e non un’intera orchestra. Bene, proseguo. Torniamo al nostro allievo e, soprattutto al di lui Maestro. Eh sì, perché in Conservatorio ogni allievo ha il suo Maestro, anzi tanti Maestri quante sono le materie (poi si capirà il motivo di queste mie ovvietà). Il Maestro deve far studiare, prima dell’esame, mesi e mesi prima, il concerto e la sonata. Quindi, in classe, suggerisce, suona a sua volta davanti all’allievo, corregge gli errori ritmici, spiega il fraseggio, dosa le sonorità nell’alternanza tra violoncello e pianoforte, fa comprendere il tessuto armonico, musicale. A volte si incazza (giustamente) per il bene dell’allievo che lo ascolta (giustamente) intimorito e ossequioso: «Qui è scritto piano! Se suoni forte copri la frase pianistica!». Oppure: «Quella nota è fa diesis, non fa bemolle! Non senti che non quadra con le note del pianoforte?». Oppure: «Ti avevo detto di eseguire questo Andante più lentamente! Non senti che in questo punto la melodia la conduce l’orchestra?». Oppure: «Tutto questo ultimo movimento è un fugato! Se suoni così non si capirà mai la struttura della Fuga, tra la linea del violoncello e quella del pianoforte, così come l’ha scritta Brahms!». Insomma, dai e dai, il maestro si infervora, l’allievo capisce e la sonata di Brahms per violoncello e pianoforte e il concerto di Schumann per violoncello e orchestra, alla fine dell’anno scolastico, saranno pronti per uno splendido esame. L’allievo a volte è un osso duro, sapete come sono gli allievi. A volte non studiano, a volte non hanno senso ritmico, a volte non riescono a capire la forma del pezzo. Ma alla fine, aiutato da un bravo e collerico al punto giusto Maestro e da un capace, solido e preciso pianista, ce la fa. Ce la fa?
Osserviamo meglio quella classe, con il Maestro che fa lezione, con allievo, sudato e concentrato che suona. Manca qualcosa, manca qualcuno. Sapete cosa manca? Il pianista. Non c’è il pianista. Non esiste, non è mai esistito. Lo sgabello del pianoforte giace solitario in un angoletto della stanza. Il pianoforte c’è, eccolo, bello, un gran coda fiammante, magari non sempre accordatissimo, magari con un tasto rotto, ma comunque c’è. Ci mancherebbe. Non siamo mica nel Burundi. È che manca il pianista. Non esiste, non è mai esistita la figura professionale del pianista accompagnatore — come trovai a Vienna, a Maastricht, a Detmold e come vi è in chissà quanti meno pieni di lustro Conservatori del mondo civilizzato — per strumenti ad arco (cioè violoncello, violino, viola, contrabbasso). E neanche per gli strumenti ad ancia doppia (cioè oboe, fagotto, controfagotto, corno inglese). E neanche per gli Ottoni (cioè tromba, trombone, tuba, corno). Il pianista non c’è. Non c’è oggi, non c’era ieri, non c’era un anno fa, dieci anni fa, venti, trenta, quaranta anni fa, in nessun Conservatorio di musica italiano. Qualcuno ha detto che il pianoforte può benissimo suonarlo un allievo di una qualunque classe di pianoforte, così il violoncellista farà un bell’esame e il giovane studente pianista impara qualcosa anche lui: il che equivale a dire che per allenare un calciatore in erba non mettiamo un istruttore esperto, ma un altro calciatore in erba. Questo semplice ed oscuro fatto è paradigmatico. Da quando sono entrato in Conservatorio come studente, nel 1971, ad oggi che vi insegno, e ho insegnato per trentacinque anni in cinque diversi Conservatori di musica, questo problema non è mai stato affrontato, risolto. Sapete di chi è la colpa? Mia. È colpa mia, è colpa di tutti i docenti di Conservatorio italiani, di tutti i dirigenti di Conservatorio italiani, di tutti i sindacalisti. Siamo un popolo fatto così. Approssimativo, mai unito. Un popolo che si rivolge al baronetto di turno, come nei secoli passati, per una raccomandazione, oppure per un aiutino all’esame, o per difendere una posizione di potere. Un popolo ancora diviso in ducati e granducati, quelli dei secoli in cui alcuni musicisti si formarono nei nostri Conservatori, dando loro quel lustro di cui oggi, tra un bravo maestro, uno sgabello pianistico vuoto, un tetto che cade a pezzi e uno ristrutturato, un’aula non insonorizzata e una invece sì, tra uno studente svogliato e uno appassionato, sono ricoperti.
Post scriptum: alcuni miei allievi, per sostenere l’esame al meglio, hanno pagato di tasca propria un pianista professionista affinché li accompagnasse come Dio comanda all’esame. E allora quella sonata di Brahms produsse un bell’effetto sulla commissione esaminatrice. Altri allievi, invece, si sono arrangiati, cercando col lanternino, insieme a me, un pianista studente più o meno all’altezza, ma con frequenti ed inevitabili catastrofiche esecuzioni: alle goffaggini dell’allievo violoncellista si sommarono le goffaggini dell’allievo pianista. Non so se la cosa si risolverà, non so se andremo avanti così. Ma so per certo che Robert e Johannes, tra un sigaro, un bicchiere di vino e una birra, ci osservano dall’aldilà, un po’ dispiaciuti e un po’ perplessi.
Il paradosso I candidati si arrangiano con colleghi di piano, come se per allenare un calciatore in erba non ci fosse un istruttore ma un atleta debuttante