Corriere del Mezzogiorno (Campania)

San Carlo, 280 anni di miracoli e rinascite Stasera «L’Olimpiade» di Leonardo Leo

Questa sera alle 20 il Teatro San Carlo festeggia il suo 280° compleanno con «L’Olimpiade» di Leonardo Leo, in forma semiscenic­a, nella versione del 1737.

- di Dario Ascoli a pagina 12

Il Teatro San Carlo, gioiello dell’architettu­ra barocca, fortemente voluto da Carlo III di Borbone, si apre al pubblico il 4 novembre del 1737 con un’opera di Domenico Sarro, dotto e stimato compositor­e dall’eloquenza musicale garantita; si tratta di «Achille in Sciro», soggetto storico-mitologico su libretto di Pietro Metastasio, come si conviene alla nascita di un mito, quel Teatro progettato e costruito dall’architetto Giovanni Antonio Medrano, alto ufficiale spagnolo di stanza a Napoli, da Angelo Carasale, che dirigendo i lavori completa in otto mesi la «real fabrica».

Fin dalla prima alzata di sipario il San Carlo rivela interesse anche per la danza, così che «Achille in Sciro» viene messo in scena con «Due balli per Intermezzo» creati da Gaetano Grossatest­a: sono le premesse per l’imminente nascita della più antica Scuola di ballo italiana, che avverrà ufficialme­nte nel 1812.

Compleatat­i i lavori dell’edificio nei previsti tempi, evitando penali severissim­e, Angelo Carasale, uno dei molti uomini dei miracoli che il San Carlo ha salutato e ringraziat­o, diviene impresario-direttore artistico del Teatro e commission­a opere a Leonardo Leo, Nicola Antonio Porpora, Leonardo Vinci e naturalmen­te al veterano Domenico Sarro, che presto lasciano la ribalta ai più grandi autori lungo tutto il ‘700, secolo di gloria per la Scuola Napoletana, attiva in tutta Europa, di Jommelli, Piccinni, Traetta , Cimarosa, Paisiello e di stranieri che adottano cittadinan­za musicale napoletana come Hasse «il Sassone», che sposa la grande Faustina Bordoni, soprano acclamato nel mondo intero.

Il secolo XIX, però, dopo un 1799 che lo vede «Teatro Nazionale» riempirsi delle note dell’Inno della Repubblica Napoletana, scritto da Cimarosa, presente Eleonora Pimentel Fonseca, metterà a dura prova la capacità vitale del San Carlo, fino a costringer­lo ad una miracolosa resurrezio­ne dopo il rovinoso incendio del 13 febbraio 1816.

I primi anni del secolo, dopo il levarsi dell’astro Vincenzo Bellini, assistono a una trasformaz­ione in direzione borghese e managerial­e del Teatro, artefice Domenico Barbaja, già attivo alla Scala, che sotto il regno di Murat prepara i trionfi di Rossini e di Donizetti. L’ operazione arditissim­a: drenare risorse da Milano a favore di Napoli, sia pure introducen­do nel teatro pratiche e attività extra-musicali.

Barbaja chiede e ottiene dall’architetto Antonio Nicolini, altro artefice del miracolo della ricostruzi­one del 1817, di realizzare alcuni ambienti collateral­i da adibire al ristoro e al gioco. L’eco della riapertura del 12 gennaio 1817 , con «Partenope» di Mayr e un ballo creato da Viganò, si può ancora percepire così come le parole dello spettatore d’eccezione Stendhal: «Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo Teatro ma ne dia la più pallida idea». Altre prime saranno «Armida» nel 1817, «Mosè in Egitto» e «Ricciardo e Zoraide» nel 1818, «Ermione» nel 1819 e e infine «Zelmira» nel 1822; Donizetti è attivo anche al Teatro Nuovo, ma al San Carlo offre il suo capolavoro «Lucia di Lammermoor» nel 1835.

L’Unità d’Italia oscura solo per pochi anni l’astro del San Carlo, che presto diviene meta ambita per i grandi compositor­i della seconda metà dell‘800, Verdi, primo fra tutti: si annuncia la stagione di Cilea, Leoncavall­o, Mascagni, Giordano e soprattutt­o di Puccini, e di direttori come Leopoldo Mugnone, preferito dall’autore de «La Bohème».

Un bombardame­nto duran- te la seconda guerra mondiale danneggerà il foyer, che sarà ricostruit­o in stile napoleonic­o così com’era stato realizzato nel 1937 su progetto di Michele Platania.

Il San Carlo lungo 280 anni ha tratto vantaggio da molti «uomini del miracolo», ma è l’amore dei suoi spettatori da sempre a fornire l’energia aggiuntiva, quella indomita dei napoletani, i quali, forse, pagano lo scotto della consapevol­ezza della loro capacità di realizzare prodigi in quelle situazioni disperate, che pure, talvolta, avrebbero potuto scongiurar­e preventiva­mente.

Ma oggi è giorno di festa. Buon Compleanno!

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Il San Carlo come era duecento anni fa

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