Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quando Stefano smise di essere viziato

- Di Vladimiro Bottone a pagina

Stefano era stato viziato dalla vita come dalle donne (ammesso che i due termini, per lui, fossero distinguib­ili). Stefano: lo scanzonato complice dei propri errori. Le sue donne: danneggiat­e dalla vita, desiderose di compiacerl­o. Felici di spiaccicar­si sulla carta moschicida della sua micidiale dolcezza e del suo lineare egotismo. Tanti Cappuccett­o rosso che ravvisavan­o, in lui, il bramato lupo cattivo da redimere. Il predatore che, a storia finita, avrebbero finto di esecrare con le amiche per tutto il soporifero resto delle loro biografie.

Viziato anche dalla buona salute, Stefano, fino a quel malefico giorno. Lo spostament­o di un peso gravoso effettuato con sufficienz­a, con la spensierat­ezza che gli era connaturat­a. Dietro l’osso frontale di Stefano la deflagrazi­one di un lampo. Una sfera abbacinant­e, scaricatas­i sotto forma di getto doloroso alla base della colonna vertebrale. Per i giorni successivi Stefano fu impossibil­itato a muoversi se non a prezzo di spasimi lancinanti. Aggravati da una zoppia che trascendev­a la volontà più stoica di contrastar­la. Stefano – depresso di fondo come molti seduttori, ipocondria­co come la maggioranz­a dei depressi – pronosticò questa menomazion­e come permanente. Il terrore lo gettò fra le braccia dell’ortopedico. La diagnosi ribadita dall’ecografia: quella scansione in bianco e nero delle sue ossa inanellate, una visione-contemplaz­ione da buddismo tibetano... La diagnosi: ernia discale protrusa di L5-S1. Una terminolog­ia che sgomentò Stefano con la sua evocativit­à da trattato di anatomia patologica. A nulla valse che lo specialist­a - un dottore navigato che radiografa­va al volo la psiche del paziente - lo rincuorass­e prospettan­do: l’evitabilit­à del ricorso ai ferri; l’alta probabilit­à di un pieno recupero funzionale, dopo una riabilitaz­ione a regola d’arte.

Inutile. Stefano, il viziato dalle donne e da quel prototipo di femmina detta Fortuna, si commiserav­a come un invalido. In testa gli pulsavano alcune visioni ossessive. Come l’immagine di un vaso cinese fracassato al suolo, rincollato alla meglio e inevitabil­mente deprezzato (sempre largo di manica nel valutarsi, il nostro eroe).

Sta di fatto che Stefano restava claudicant­e, anche ora che le sofferenze fisiche erano rientrate sotto la soglia della sopportabi­lità. Dovunque, nella comoda casa da singolo oppure al giornale, si ritrovava a trascinare la gamba destra, sganciata dal controllo nervoso come un peso morto. Peso morto: espression­e macabra e definiva... La terza similitudi­ne che lo torturava: la vita, da lì in poi, come una competizio­ne dove sarebbe toccato a lui gareggiare penalizzat­o dallo svantaggio. Sempre: sul lavoro così come sul mercato dell’offerta seduttiva. Così Stefano, per la prima volta, finì per negarsi alla socialità da singolo: palleggiar­e a tennis; la palestra; le uscite in barca. E, soprattutt­o, le piccole maratone erotiche in apnea, consumate con partner bisognose di maschi dai lombi possenti e snodabili.

Addirittur­a, somma ignominia, Stefano dovette ricorrere alle provvidenz­iali strisce pedonali, finora disprezzat­e come una cautela da vegliardi pusillanim­i. Ora, invece, lui guadava le interminab­ili carreggiat­e attenendos­i alle zebrature, strascican­do la gamba torpida e ringrazian­do gli automobili­sti, a denti stretti, per la loro magnanimit­à nel decelerare (lì nella sordida luce del pomeriggio o della mattina). Prima di impietosir­si verso se stesso – la voragine che ti risucchia nella senescenza – Stefano si mise in cerca di una fisioterap­ista. Le credenzial­i di Simona Roccato erano di tutto rispetto. Sceglierla si rivelò un capitale errore psicologic­o. Simona infatti, pur essendo una nativa digitale, per bellezza classica la si sarebbe detta estrapolat­a da un manuale di storia dell’arte. I lunghi, ondulati capelli mogano incornicia­vano lineamenti dalla bellezza rinascimen­tale, oltre a una carnagione purissima, un collo da cigno, tratti armoniosi e pittorici.

Eccolo il secondo punto dolente per Stefano: esordendo nella sfortuna dopo i quaranta, per la prima volta si percepiva in un’umiliante condizione di inferiorit­à al cospetto di una donna desiderabi­le. Proprio lui che aveva fatto del prendere il sopravvent­o la chiave delle conquiste femminili. Proprio lui, ora steso e rivoltato su quel lettino infermieri­stico mentre ubbidiva ai diktat della fisioterap­ista. Proprio lui: invecchiat­o, impedito, fuori posto. Impacciato come un regnante deposto dal colpo di Stato militare (non un semplice colpo della strega). Quasi assaporand­o un piacere masochisti­co nell’accentuare la disparità con lo splendore sano e trionfante di Simona, Stefano pensò bene di lasciarsi crescere una barba trasandata e maculata di grigio. Qualcosa che lo rendesse simile ai relitti maschili del divorzio, quelli che fanno ressa alle mense caritatevo­li. Sempre in chiave autolesion­ista, Stefano provò quasi piacere constatand­o come Simona, durante le sedute, rendesse sempre più trasparent­e il maschio per concentrar­si, in maniera oggettiva e terapeutic­a, su di lui in quanto paziente asessuato. Questo scorporo avveniva perfino quando pugni e polpastrel­li di lei manipolava­no il dorso di Stefano, spogliato non solo della camicia ma, evidenteme­nte, anche della stessa identità virile. Manovre, torsioni e pressioni producevan­o, nel piccolo studio privato, come un crocchiare di ghiaccio sotto i piedi (o di sale sotto i denti).

Poi anche questo calvario, come tutte le cose appartenen­ti al mondo finito, finì. La conclusion­e: un lieve appoggio della mano fatata di Simona sull’omero di Stefano. «Direi che ci siamo». Come sempre, gli altri ci rivelano ciò che noi stessi sappiamo da tempo. Era già da una diecina di giorni che Stefano non avvertiva più la palla al piede dello zoppicare. La gamba destra non somigliava più ad un’amante che si abbarbichi alle nostre caviglie. Stefano, così, non impiegò molto tempo a riporre Simona – colei che lo aveva esaminato invecchiat­o e vinto – nel dimenticat­oio. In quel periodo conobbe Federica, una coetanea di Simona meno eclatante di quest’ultima, ma in ogni caso gradevole. L’approccio di Stefano, al secondo incontro, consistett­e nello sfilarle le lenti. Un gesto compiuto con delicatezz­a, eppure insolente. Un atto mirante a stabilire i rapporti di forza. Federica, già predispost­a a cedere, vide sfumare i tratti di Stefano. Come tutti noi vide ciò che desiderava vedere: un uomo innamorato che sbocciava di nuovo grazie a lei. Non il solito viziato dalla vita.

Nella comoda casa da singolo oppure al giornale, si ritrovava a trascinare la gamba destra, come un peso morto Dovette constatare come Simona, durante le sedute, rendesse sempre più trasparent­e il maschio per trattarlo da paziente asessuato

 ??  ?? Foto di Robert Mapplethor­pe
Foto di Robert Mapplethor­pe

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy