Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL «CODICE» LE IMPRESE E I CORROTTI
Nulla quaestio sulla rilevanza del tema, soprattutto sotto il profilo della percezione, specie in relazione alle difficoltà di apprezzamento della corruzione nella sua dimensione reale, con cifre che forniscono sovente informazioni controverse, ad eccezione della posizione di primato nella blacklist dell’intero Mezzogiorno. Eppure la deriva corruttiva nutre costantemente il dibattito mediatico con continui episodi di cronaca, peraltro dai tratti sempre più endemici. Anche la recente revisione parlamentare del Codice antimafia ha ritemprato la discussione, licenziando un pacchetto di norme tra mille trazioni e polemiche. Ad esacerbare gli animi è bastata l’estensione dell’area delle misure patrimoniali e personali agli «indiziati associati» finalizzati ai reati contro la pubblica amministrazione (peculato, corruzione, concussione, ecc.). Novità che è sfociata nell’equiparazione tra corrotto, solo se in associazione a delinquere, e mafioso. Al netto di qualche riserva di stampo ideologico in ordine all’accostamento, il provvedimento potrebbe apparire come un indubbio segnale nella direzione del contrasto al malaffare. Vale la pena, dunque, di trattenersi per qualche approfondimento sulle implicazioni riconducibili alle figure assimilate (corrotto associato = mafioso), reale terreno di scontro tra le voci autorevoli che stanno in queste ore riempiendo lo spazio massmediale.
Invero, l’automatismo della partecipazione aziendale per siffatte categorie delittuose, come testimoniato anche dalle statistiche (Transparency International Italia, 2017), sembra giustificare l’apprensione dell’universo confindustriale, in particolare sulla possibilità di vedere travolte le imprese dal vortice dei rigidi regimi di prevenzione, spesso opinabili sotto il profilo gestionale-applicativo.
La legittimità dell’allarme connesso al parallelo impresa-corruzione, ovvero impresa-associazione a delinquere, è altresì espressione di una volontà politica di sottolinearne le differenze, da una parte, punendo con fermezza esclusivamente i casi appurati di contaminazione. Di converso, però, l’assimilazione, comportando un ampliamento dei rischi in capo al soggetto imprenditore/manager, dovrebbe poter scoraggiare atteggiamenti corruttivi, o di scarso profilo etico. Più correttamente, allora, andrebbe tutelata la posizione dell’impresa intesa come institution, ossia separata dal proprio organo di governo (imprenditore/manager), laddove comunque capace perseguire la propria finalità di creazione di valore allargato. L’organizzazione imprenditoriale, infatti, in quanto nesso di contratti con altri e molteplici portatori di interesse, spesso estranei rispetto alla vicenda corruttiva, non può subire i ritardi, le presunzioni e le responsabilità di altri attori (siano essi i colpevoli o gli inquisitori), costringendola a pagare pedaggi altissimi rispetto ad un sistema di lotta alla corruzione che, invece, dovrebbe essere fortificato e gestito prima, durante e dopo l’applicazione delle misure anticipatorie. Perché non muoversi in questa direzione?
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