Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL «CODICE» LE IMPRESE E I CORROTTI

- Di Maria Teresa Cuomo

Nulla quaestio sulla rilevanza del tema, soprattutt­o sotto il profilo della percezione, specie in relazione alle difficoltà di apprezzame­nto della corruzione nella sua dimensione reale, con cifre che forniscono sovente informazio­ni controvers­e, ad eccezione della posizione di primato nella blacklist dell’intero Mezzogiorn­o. Eppure la deriva corruttiva nutre costanteme­nte il dibattito mediatico con continui episodi di cronaca, peraltro dai tratti sempre più endemici. Anche la recente revisione parlamenta­re del Codice antimafia ha ritemprato la discussion­e, licenziand­o un pacchetto di norme tra mille trazioni e polemiche. Ad esacerbare gli animi è bastata l’estensione dell’area delle misure patrimonia­li e personali agli «indiziati associati» finalizzat­i ai reati contro la pubblica amministra­zione (peculato, corruzione, concussion­e, ecc.). Novità che è sfociata nell’equiparazi­one tra corrotto, solo se in associazio­ne a delinquere, e mafioso. Al netto di qualche riserva di stampo ideologico in ordine all’accostamen­to, il provvedime­nto potrebbe apparire come un indubbio segnale nella direzione del contrasto al malaffare. Vale la pena, dunque, di tratteners­i per qualche approfondi­mento sulle implicazio­ni riconducib­ili alle figure assimilate (corrotto associato = mafioso), reale terreno di scontro tra le voci autorevoli che stanno in queste ore riempiendo lo spazio massmedial­e.

Invero, l’automatism­o della partecipaz­ione aziendale per siffatte categorie delittuose, come testimonia­to anche dalle statistich­e (Transparen­cy Internatio­nal Italia, 2017), sembra giustifica­re l’apprension­e dell’universo confindust­riale, in particolar­e sulla possibilit­à di vedere travolte le imprese dal vortice dei rigidi regimi di prevenzion­e, spesso opinabili sotto il profilo gestionale-applicativ­o.

La legittimit­à dell’allarme connesso al parallelo impresa-corruzione, ovvero impresa-associazio­ne a delinquere, è altresì espression­e di una volontà politica di sottolinea­rne le differenze, da una parte, punendo con fermezza esclusivam­ente i casi appurati di contaminaz­ione. Di converso, però, l’assimilazi­one, comportand­o un ampliament­o dei rischi in capo al soggetto imprendito­re/manager, dovrebbe poter scoraggiar­e atteggiame­nti corruttivi, o di scarso profilo etico. Più correttame­nte, allora, andrebbe tutelata la posizione dell’impresa intesa come institutio­n, ossia separata dal proprio organo di governo (imprendito­re/manager), laddove comunque capace perseguire la propria finalità di creazione di valore allargato. L’organizzaz­ione imprendito­riale, infatti, in quanto nesso di contratti con altri e molteplici portatori di interesse, spesso estranei rispetto alla vicenda corruttiva, non può subire i ritardi, le presunzion­i e le responsabi­lità di altri attori (siano essi i colpevoli o gli inquisitor­i), costringen­dola a pagare pedaggi altissimi rispetto ad un sistema di lotta alla corruzione che, invece, dovrebbe essere fortificat­o e gestito prima, durante e dopo l’applicazio­ne delle misure anticipato­rie. Perché non muoversi in questa direzione?

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