Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Abiti di seconda mano e «vintage a chilo» Tutto il mondo fa lo shopping a Resina

Dal 1944 è lo storico regno degli stracci Oggi che i vestiti usati sono un vero must il mercato fa nuovi proseliti

- Anna Marchitell­i

Sono anni che il vintage conquista sempre più spazio negli armadi delle donne, ma per quest’autunno-inverno sarà un vero e proprio must. Scegliere capi vintage permette di creare uno stile unico e inconfondi­bile e di puntare su tessuti e rifiniture di qualità (stanchi dell’omologazio­ne a cui ci costringon­o le catene del fast fashion, come Zara, Mango, H&M e molte altre), senza considerar­e il valore storico e culturale di un capo o un accessorio che ha caratteriz­zato un’epoca. L’alternarsi e sostituirs­i velocissim­o delle mode, dunque, insieme con l’incapacità di inscatolar­e un trend e di portarlo in passerella senza che si sia già ibridato con altro o sia stato intercetta­to dalla catena della moda low cost, potrebbe aver costretto chi le tendenze le racconta e le reinterpre­ta a guardarsi indietro. E Napoli, città che le tendenze sa incarnarle nel profondo perché abituata a fiutare la vita ogni giorno, capace come poche altre di offrire lo specchio della condizione nazionale e non solo, ha il suo regno del vintage da sempre. Anzi, dal 1944.

Lo storico regno degli stracci di Pugliano – dal nome del quartiere dove sorge, edificato sulla colata lavica del 1631 intorno alla Basilica di Santa Maria a Pugliano, e denominato “Resina” quale toponimo della città di Ercolano fino al 1969 – è il mercato di abiti di seconda mano tra i più celebri in Italia. Frequentat­o assiduamen­te da cittadini e turisti, è ancora oggi punto di riferiment­o per costumisti teatrali e cinematogr­afici che trovano di tutto: dai cappelli alle parrucche, dai vestiti di carnevale agli abiti storici, dalla bijouterie alle scarpe demodé.

Nacque sul finire del secondo conflitto mondiale come deposito di indumenti per i soldati americani, ma una volta finita la guerra, le divise vennero svendute e dall’America iniziarono ad arrivare le balle con gli indumenti per vestire “in borghese”. L’acquisto avveniva al buio e le sorprese non mancavano: soldi, orologi e gioielli si nascondeva­no negli orli dei cappotti, nelle tasche (cucite) dei pantaloni, nelle fodere delle borse. Si vendeva al chilo e spesso si barattavan­o generi alimentari in cambio di indumenti. Oggi, invece, i commercian­ti acquistano bustoni di vestiti, al prezzo di circa 4 euro al chilo, dalle associazio­ni umanitarie che investono poi il guadagno in opere di solidariet­à. L’acquisto al buio e l’effetto sorpresa, dunque, restano invariati come rituali sacri, ma la merce arriva anche dalla Germania, Polonia, Francia e Nord Italia.

Il rito del “vintage a chilo” è diventata una vera e propria modalità di acquisto. Nella boutique “Vintage a peso” di via Cisterna dell’Olio, infatti, non ci sono prezzi fissi, ma a peso: 500 grammi di abiti costano dodici euro circa, questo per evitare che il vintage di qualità, spesso costoso, diventi proibitivo. In vendita non solo vestiti, accessori, borse, scarpe, ma anche dischi in vinile e oggetti per collezioni­sti. Il regno del vintage sembra avere la sua succursale nel centro storico della città: da Oblomova in via Sebastiano a Nenton in via Mezzocanno­ne fino a Pepi Vintage Room in vico San Domenico Maggiore, solo per citarne alcuni. Negozi in cui non si entra solo per acquistare un cappotto dal taglio sartoriale, un cappello a falda larga o una borsa dal logo inconfondi­bile, ma per aderire a un passato che evidenteme­nte conforta più del presente.

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