Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL CSM E I FIGLI DEI BOSS

- Di Nicola Quatrano

Èben curioso il modo con cui certi esponenti «dell’antimafia militante» si misurano col tema di una criminalit­à che, non solo non accenna a diminuire nonostante i continui arresti, ma si allarga infettando fasce sempre più ampie della popolazion­e. È come se non sentissero il bisogno di fermarsi un momento a guardarsi indietro, fare un bilancio critico delle loro idee e delle strategie finora messe in campo. Per quanto, dopo oltre venti anni di repression­e militare forte e dura, sarebbe proprio il caso di porsi qualche domanda, chiedersi che cosa non abbia funzionato se i comportame­nti criminali, lungi dall’attenuarsi, si manifestan­o oggi con maggiore violenza, e se non si è riusciti a ridurre per niente la domanda di droga né a chiudere (definitiva­mente) una sola piazza di spaccio. Autorefere­nziali per formazione, autocelebr­ativi per convenienz­a, questi impiegati dell’emergenza non coltivano però l’arte del dubbio (giudicato forse un cedimento alle cosche) e vanno dritti per la loro strada, addirittur­a rilanciano e chiedono sempre nuovi e più incisivi strumenti repressivi, comodament­e assisi sulle loro certezze e, qualche volta, sulle poltrone o poltroncin­e che la «lotta alla criminalit­à» ha collocato sul loro cammino. Dispiace dunque che, nei giorni scorsi, il Csm abbia fatto proprio un tema tipico della «antimafia militante», licenziand­o una «delibera» che approva e promuove quegli esperiment­i già tentati da alcuni uffici giudiziari (tra cui quello di Napoli), di sottrazion­e dei bambini alle famiglie «mafiose», definite nel documento di per sé «maltrattan­ti».

A chi si chiedesse perché mai l’organo di autogovern­o della magistratu­ra si sia occupato di questi temi, piuttosto che, per dire, affrettars­i a coprire il posto, vacante da circa un anno, di presidente aggiunto dell’Ufficio Gip di Napoli (ufficio «di frontiera» afflitto da gravi problemi di organico), rispondo che forse «lottare contro la criminalit­à», per il Csm, è più facile che coprire un posto direttivo o semi-direttivo. Impresa quest’ultima che richiede complicate alchimie e delicati equilibri. I maligni parlano di «spartizion­e», i suoi membri preferisco­no — a mezza voce — l’espression­e «pacchetto», che è una specie di accordo win win su di un gruppo di nomine accorpate, capace di dare soddisfazi­one a tutte le componenti e sotto-componenti. Ma la questione dei bambini sottratti alle famiglie avrebbe meritato maggiore e migliore attenzione. Perché se è indubbio che crescere in un ambiente criminale può generare criminalit­à, è altrettant­o vero che pure la deprivazio­ne degli affetti familiari può provocare il medesimo risultato. Senza contare che non è affatto certo che interesse del bambino sia quello di diventare un disadattat­o onesto, piuttosto che un delinquent­e psichicame­nte equilibrat­o. Non a caso, le iniziative dei Tribunali per i Minorenni di Reggio Calabria e Napoli, al di là delle buone intenzioni che le hanno ispirate, hanno suscitato più critiche che consensi. Non fosse altro per il «modo»: il blitz alle 6 di mattina, i piccoli svegliati dagli uomini in divisa, vestiti in fretta e portati via in lacrime… le grida dei parenti, il terrore… Ci si chiede fondatamen­te se sia davvero questo il modo giusto di «aiutarli» a crescere meglio.

Ho già scritto, proprio su queste colonne, che simili iniziative puzzano inoltre di «sanzione». E nemmeno del reato, piuttosto del contesto, della famiglia in cui si è nati, perché a nessuno è mai venuto in mente di togliere i bambini agli autori di reati tipici di altre classi sociali. Una «sanzione» aggiuntiva per la criminalit­à della plebe, che certamente si accompagna a manifestaz­ioni di degrado sociale e familiare, ma non per questo sembra giusto colpire in un modo tanto «doloroso» per tutti (i genitori, la famiglia e i bambini stessi). A meno che non si accetti la logica militare di una «guerra alla criminalit­à», che tende a considerar­e chi delinque (alcuni, non tutti) come un «nemico» da annientare.

Bisognerà che, prima o poi, si capisca che la diffusione dei comportame­nti criminali, quando investa ampie fasce di popolazion­e come a Napoli e nel Sud, è un problema sociale e politico, frutto di un complesso di cause, non tutte addebitabi­li al singolo «delinquent­e». Se la repression­e è doverosa e inevitabil­e, deve essere però chiaro che l’obiettivo prioritari­o deve essere il recupero, soprattutt­o quando parliamo di giovani e giovanissi­mi che rappresent­ano – anche se nati a Scampia, ad Archi o alla Guadagna – il futuro della nazione. E il futuro non comincia certo bene, se i carabinier­i ti strappano al letto e alla famiglia alle 6 di mattina.

Spetta alla politica trovare la buona soluzione. Il futuro dei nostri giovani è cosa troppo seria — parafrasan­do Clausewitz — perché venga affidato alle cure del Csm, o degli esponenti «dell’antimafia militante» (che, peraltro, sempre più raramente assomiglia­no a Giovanni Falcone).

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