Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quel romanzo Oltremanica
Malacqua, l’ha scritto ieri Roberto Russo su questo giornale, invade l’Inghilterra. Chissà se la lingua dell’impero consentirà allo straordinario romanzo di Nicola Pugliese, uscito giusto quarant’anni fa, di varcare i confini di una fama sin qui costretta nei confini della piccola patria partenopea.
Non ho mai dubitato che si trattasse di un capolavoro assoluto della prosa italiana novecentesca, meritoriamente riportato in libreria da Tullio Pironti: una storia compatta e febbrile, quale può raccontarla un giovane poco più che trentenne, la cui poetica mescola Buzzati, Kafka ed Ionesco nello shaker del realismo magico sudamericano. Ad un maestro come Calvino, l’editor di Nicola, piacque probabilmente lo straniamento frenetico che quattro giorni di pioggia ininterrotta provocavano nelle abitudini e nelle percezioni di una città altrimenti immobile. O che appariva tale: invito a rileggere le quasi coeve pagine di Pasolini, che erigono un piccolo e solenne monumento alla Napoli sempiterna, popolata da Gennarielli eroicamente resistenti al potere omologante della modernità.
Eppure, di Nicola si parla ancora pochissimo. Una riprova? Nessuno dei partecipanti alle «Lezioni di Storia» laterziane, che in quest’edizione adopereranno la letteratura a mo’ di grimaldello per scassinare certe interpretazioni consolidate del passato napoletano recente e meno, ha sentito l’esigenza di ripartire da Malacqua: per interrogarsi sulla crisi degli anni Settanta del secolo scorso, i cui effetti tracimano nei vissuti quotidiani odierni.
La sonda sociologica di Nicola registra, con precisione travestita da poesia dell’assurdo, gli smottamenti della nostra identità comunitaria: lo scollamento tra Popolo ed Istituzioni, la forza devastante della Natura contro la cui potenza non tiene argine alcuno, innanzitutto quello storicistico. Ho sempre pensato che Pugliese fosse l’ultimo leopardiano in circolazione: l’acqua sporca e cattiva, una versione aggiornata della lava dello «sterminator Vesevo»; in linea con il rigore apocalittico dell’ecologismo duro e puro, anch’esso figlio dei celeberrimi Settanta.
Aggiungerei il fatto che Pugliese è sempre stato un uomo di destra: un anarchico costituzionale, cavandomela con una battuta. Di destra, in un’accezione che mi piace molto: cruda, maschia, antiborghese. Senza lo zucchero della retorica ed il miele dei buoni sentimenti, i cui fastidiosi retrogusti avverto persino nelle prove smaccatamente splattereggianti dell’attuale produzione di genere. Un individuo e un artista politicamente scorretto, capace d’infischiarsene - pur soffrendo della fama che avrebbe meritato come pochissimi altri.
Sono felice che oltre Manica vogliono apprezzarne l’immenso talento. Difficilissimo pronosticargli un futuro alla Ferrante che, notoriamente, è già materiale di imbalsamazione, universitaria e cinematografica. È il destino degli irregolari, la lingua dell’impero o della piccola patria c’entra poco. Ne discutiamo?
Tullio Pironti Un capolavoro assoluto della prosa italiana novecentesca, riportato in libreria