Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL BESTIARIO DELLA TATTICA POLITICA
Cambiamento. Che parola buffa. Non per colpa sua, ci mancherebbe. Né per l’inadeguatezza della vituperata lingua italiana che invita, altresì, a esplorare i territori vergini per attribuire nuovi orizzonti di senso a esperienze sconosciute. Buffa, a dispetto della sua insostituibilità, perché la competizione elettorale la costringe a far coppia con «politico». A vederle insieme pare di scorgere uno di quei vecchi sidecar degli anni ’40. Quelli tutti ammaccati, sepolti nella Galleria Borbonica. Il cambiamento, in equilibrio precario su due ruote con il manubrio bloccato; «politico», al suolo a peso morto con le gomme a terra, ma aggrappato al mezzo con siderurgica tenacia. Il cambiamento politico prospettato sin qui dalle forze di sinistra a Napoli? Un sidecar con il numero di telaio abraso, sotto il quale è incisa la parola «tatticismo». Tatticismo del coccodrillo quello del Pd postrenziano, che non può che piangersi addosso se non riesce neanche a organizzare un congresso, le cui dinamiche riguardano comunque solo i contendenti al timone di una scialuppa di salvataggio sulla quale non c’è spazio per i mozzi, nonostante i topi l’abbiano già abbandonata da tempo. Tatticismo dell’alligatore quello di Antonio Bassolino, che resta all’erta a pelo d’acqua perché a galla la sua storia sarebbe troppo ingombrante, mentre in immersione il suo dorso può servire da ponte tra le due sponde che è meglio far apparire distantissime l’una dall’altra. Tatticismo del camaleonte quello di Luigi de Magistris, che apre a tutti e a nessuno, e nel frattempo Dema si moltiplica, per palingenesi, sotto forma di più sigle che cercano di recuperare i consensi perduti dalla stessa amministrazione di cui Dema è alla guida. Tatticismi, per gli animali politici a sangue freddo.
Il gioco delle tre carte, per i napoletani, che conoscono meglio di chiunque altro l’unica regola per non perdere: non giocare affatto.
Vecchi e nuovi tatticismi allontanano la cittadinanza dal confronto elettorale, dalla partecipazione, dalle istituzioni di prossimità: dall’interesse, cioè, per le decisioni. I dati sull’astensionismo in città fotografano impietosi l’aumento, più che proporzionale, del divario tra le zone centrali e quelle periferiche, laddove centri e periferie non sono solo luoghi geografici bensì posizioni interconnesse della disuguaglianza. Ciononostante, il campo della Sinistra, o delle sinistre, sembra rassegnato alla disaffezione permanente di cui è concausa. Non ci bada. Anzi, visto che neppure il M5S riesce a riportare elettori alle urne, non c’è di che preoccuparsi. Il problema, al massimo, sarebbe la capacità della Destra di mobilitare il voto di scambio meglio degli altri. Tanto vale, dunque, abban- donare l’idea dispendiosa, o forse fuori dalla portata, di costruire insieme un programma politico realista ma avanzato per Napoli. Meglio dedicarsi all’aritmetica elettorale, ai calcoli personali, o alle contestazioni contro la più importante azienda italiana di sidecar con guida a sinistra: la D’Alema & Co.
E se i movimenti, sedicente avanguardia nella costruzione di processi decisionali dal basso, non pongono la que- stione della rottura generazionale in termini di superamento del paradigma della contestazione studentesca; se la tutela degli spazi liberati ha più valore della lotta quotidiana per la mobilità di migliaia di famiglie nei quartieri periferici; se a escogitare meccanismi virtuosi di aumento della vivibilità dovrebbero essere gli stessi che non sono in grado di far partire la refezione scolastica; se l’unico orizzonte di miglioramen- to delle condizioni di vita consiste nell’ accaparrarsi le briciole dei profitti generati dai flussi di visitatori in aumento; allora è giusto compensare l’astensionismo delle fasce più deboli della città, estendendo il diritto di voto all’unico soggetto nuovo che si è reso veramente protagonista del cambiamento politico a Napoli negli ultimi anni: Ius soli per i migranti? Macché! Ius soldi per i turisti.