Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA CITTÀ DICE ADDIO AI GIOVANI
La fuga della popolazione dalle grandi aree metropolitane del Sud, Napoli in testa, prosegue inarrestabile. La capitale del Mezzogiorno e il suo hinterland l’anno scorso hanno perso altri 7 mila abitanti circa (6.892 per l’esattezza), dopo l’emorragia di 9.241 nel 2014 e di 4.251 nel 2015. 28.384 cittadini in meno non sono poca cosa. Anche perché questo esodo ormai in atto da alcuni anni non accenna affatto a fermarsi. Preoccupa soprattutto che, al crollo del 6,6% di abitanti delle città metropolitane, come mette in evidenza lo studioso Giovanni Cafiero, corrisponda un altrettanto significativo aumento di pari importo, +6%, dei cittadini delle grandi concentrazioni urbane del Centro Nord. In base all’ultima stima sulla popolazione fatta poco meno di due anni fa in Campania, e da allora a oggi il quadro è ulteriormente peggiorato, la regione era abitata da 5 milioni 850 mila persone e aveva già perduto circa 93 mila residenti, che attualmente saranno certamente più di centomila. La prospettiva, se si guardano le proiezioni a lungo termine dell’Istat, perché in demografia si ragiona inevitabilmente sui tempi lunghi, è che tra mezzo secolo un milione di persone in meno vivranno nella regione pilota del Mezzogiorno. Ciò che colpisce maggiormente è che, scorrendo il Rapporto della Fondazione Migrantes 2017 presentato pochi giorni fa, Napoli sia quella in Italia che in termini assoluti perde il maggior numero di giovani tra i 18 e i 30 anni, ben 6.500, fuggiti dall’inizio della crisi recessiva, quindi dal 2008. La città partenopea è seguita a ruota dalle altre meridionali, Messina, Taranto, Reggio Calabria, Palermo, Bari e Cagliari.
Quanti di questi ragazzi e ragazze fanno parte dei 52 mila studenti campani che tra il 2006 e il 2016, dopo aver conseguito la maturità qui, si sono iscritti altrove all’Università? Si intravede sullo sfondo una regione che da quando aveva il primato della età media dei cittadini più bassa d’Italia, tra qualche anno diverrà una terra per vecchi.
Un fatto è inequivocabile, gli abitanti totali del capoluogo campano sono calati sotto il milione, dopo che, come ricorda Aldo Masullo nell’intervista a Claudio Scamardella contenuta nel bel libro del 2008, intitolato Napoli siccome immobile, «la città partenopea tra fine ‘800 e inizi ‘900 era la più popolosa d’Italia e tra quelle con la maggior concentrazione di cittadini a livello europeo».
Altri tempi, certo, che comportavano anch’essi grandi problemi. Ma questa inarrestabile emorragia dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni del mondo politico e delle istituzioni locali, perché è la spia evidente di un profondo malessere, la cui cura non consiste né in misure tampone né tanto meno in scelte di respiro emergenziale, ma richiede il mettere in campo fin da oggi una strategia di medio-lungo termine. Che a nessuno sembra interessare, in quanto la miopia che caratterizza le attuali classi dirigenti rispetto a temi che non creano consenso elettorale immediato è ben nota e sperimentata. A onor del vero il Governo nazionale qualche misura l’ha varata, dal programma per le periferie ai Masterplan per le città metropolitane, ma, pur se utili, rischiano di fare un buco nell’acqua se non accompagnate da provvedimenti che aggrediscano le vere cause di questa fuga. Il tema è perché la gente scappa dalle grandi città meridionali. Se a lasciare Napoli sono soprattutto i giovani, è evidente che in primis c’è l’annoso problema della totale mancanza di occasioni di lavoro, a maggior ragione qualificato. E se vanno via per andare a studiare altrove, c’è un serio problema di intreccio perverso tra formazione non adeguata e sistema universitario non competitivo con quanto offerto dagli atenei del CentroNord. A tutto ciò si aggiunge un contesto sociale composto da quell’intreccio perverso e ben noto di invivibilità, a cui contribuiscono l’aggressività criminale, la mancanza di moderni servizi pubblici, i costi ancora molto elevati delle case e chi più ne ha più ne metta.
Il risultato di tutto ciò è stato un crollo del valore aggiunto dell’area metropolitana di Napoli che ha perso in sei anni quasi il 13%, con una performance peggiore di tutte le altre, del Nord e del Sud. A dimostrazione del fatto che la demografia influenza in modo tangibile l’economia e la vita quotidiana delle persone. Non tra 50 anni ma già oggi.