Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quell’incontro fugace alla Stazione Centrale
Tony è un cinquantacinquenne italo-americano. L’Italia è stato costretto a lasciarla al seguito della famiglia, quando non aveva ancora l’età della ragione e della memoria. Suo padre aveva impiantato una gelateria a Boston; lui è stato capace di evolvere l’attività paterna inventandosi cake-designer (le sue torte decorate impazzano alle feste di compleanno). Negli ultimi cinque anni ha dovuto ammortizzare dei brutti colpi: la morte prematura della moglie; l’abbandono di una famiglia troppo patriarcale da parte di sua figlia Jenny. Un tumore, poi fortunatamente rimesso senza devastazioni, che lo ha posto davanti alla visione della fine.
Tony ha appena deciso di concedersi la prima vacanza da molti anni a questa parte. Un ritorno a casa, «back home». Atterrato da Boston, a Roma ha vagato un paio di giorni da turista senza raccapezzarsi molto. Con un Frecciarossa è appena sbarcato a Napoli Centrale, prima tappa verso un soggiorno nella frazione natia abbarbicata sui Lattari. Sono le ventuno, quando i negozi della stazione collassano verso la chiusura.
Il fast-food annesso alla Centrale è deserto; un’addetta sta capovolgendo alcune sedie impilabili. Tuttavia manca il cartello che intimi «closed» e nessuno piantona l’ingresso. Tony entra sperando sia ancora possibile un’ordinazione; in calo di zuccheri si lascia andare nel tavolo più a portata di mano. Nonostante tutto non stacca gli occhi dall’unica cameriera cui compete il riordino. È alta, ben fatta, i capelli legati. Così di schiena la diresti giovane. La ragazza si è arcuata in avanti per sfregare con un panno il tavolo. Tony non può fare a meno di soffermarsi sui contorni delle natiche sotto il grembiule teso. Forse è stata la pesantezza del suo sguardo a far voltare l’inserviente. Il viso provato, il colorito smorto di lei a fine turno. Eppure le manca pochissimo per apparire bella. La bocca è generosa, i lineamenti nel complesso fini. Gli occhi, grandi, esprimono però un vago risentimento. Tony, confuso, cerca di rimediare alla guardata greve di un attimo prima. Con gentilezza, e la voce catramosa da fumatore, chiede se è ancora possibile ordinare. Lei vorrebbe sbuffare o sbottare. «Saremmo chiusi». Colpa del sorvegliante che se la squaglia in anticipo e non sbarra l’entrata.
«Vedo se si può fare qualche cosa».
Perché è stata possibilista e non ha liquidato l’importuno? Perché l’uomo le rammenta qualcuno di familiare. Potrebbe sovrapporne la fisionomia a quella di parenti emigrati negli States e in Australia che ricompaiono, periodicamente, dagli album di famiglia. La stessa scorza mascolina che mette soggezione; il viso olivastro e segnato; zero mollezze. Così la cameriera – si chiama Giovanna – varca la porta tagliafuoco delle cucine. A Tony, nella sala deserta e livida sotto i neon, non resta che sbirciare il programma che gracchia dallo schermo al plasma. Riconosce subito il taglio di un «talent show», popolato da ragazzi muscolari e proterve bellezze latine. Tony lo ignora, ma questo genere di programmi e la scrittura di un best-seller sono rimasti gli unici, chimerici ascensori sociali per la gioventù del suo ex Paese. Per qualche ragione il programma lo ha come ipnotizzato. Lo distoglie solo il passo traballante di Giovanna, il suo viso che emerge dal vassoio in equilibrio precario. Tony è abbastanza macho vecchio stile per precipitarsi incontro e sobbarcarselo. Ora la ragazza protesta, si schermisce fra il lusingato e lo sgomento. Eppure questo italo-americano che insiste perché lei si accomodi non riesce a farle veramente paura. Neanche per un attimo lo considera un malintenzionato, tutt’altro. Deciso: lei si tratterrà in piedi, a portata di voce. Giovanna, in un piccolo soprassalto di vanità, si spinge addirittura a fornire una dimostrazione delle proprie cmpetenze.
«Lei è di origini italiane. Ma vive da tanti in anni in Texas. Sbaglio?».
Tony è strabiliato da queste facoltà divinatorie; strabuzza gli occhi sotto le palpebre grinzose. Giovanna è contenta dell’interessamento che ha suscitato. Non vedeva l’ora di poterlo dichiarare: si è laureata in lingua e letteratura americana. Ha soggiornato a più riprese negli Usa, in vari Stati. E ha un orecchio speciale per le inflessioni regionali (dono di natura): lei un «chicagoan» lo riconosce alla quarta parola. Poi l’intristimento dei suoi occhi nocciola: superata la boa dei trenta, ha dovuto battere in ritirata dalle proprie aspettative. Ripiegare su questa trincea di lavori precari, condivisione di alloggi in un’atmosfera di perpetui universitari fuori sede (sradicati e spiantati). E poi i battibecchi tra coinquilini per ripartire le spese; gli estenuanti cambi di impiego, sede, mansione. Le angherie dei datori di lavoro. Gli umilianti ritorni dai genitori, con la coda fra le gambe a certificare la sconfitta come unica normalità.
Tony non ha perso un fiato di Giovanna, addossato allo schienale della sedia. Dopo le giornate romane, da turista, ora gli sembra di essere atterrato davvero. Certo: nei giorni precedenti aveva sospettato qualcosa. C’era stata quell’ambivalenza tra la fede nell’Italia atemporale, idealizzata dal doppio passaporto e certe occasionali constatazioni che inducevano a dubitare. Ora, come San Tommaso, ha potuto toccare con mano. Ora ha potuto prendere atto di come una glaciazione abbia colpito, da vent’anni, la propria terra raggelando quella speranza che, invece, era riuscita a fare di lui quanto lui è ora. Giovanna nel frattempo, davanti agli hamburger intatti, si è accigliata. Tony ha un gesto di diniego: non ha più fame. È sopraggiunto un lungo silenzio; l’accozzaglia sonora della stazione, tuttavia, preme sulla vetrata. Tony sente di non poter restare un attimo di più. Qui, almeno. Ha lasciato scivolare una banconota color salmone, comprensiva di mancia. Poi prende congedo masticando un buona fortuna, senza voltarsi.
Giovanna, dai vetri, ne accompagna l’allontanarsi diretto ai taxi incolonnati sotto la pensilina. E pensare che – il tempo visionario di un minuto – lei aveva imbastito una sceneggiatura. Con l’abbiente italo-americano che, invaghitosi della bella conterranea per un autentico colpo di fulmine, le prospetta una green-card matrimoniale. Una compravendita, uno scambio benessere contro giovinezza. Quell’uomo ha più o meno l’età di suo padre.
«Gli avrei riso in faccia?», ha la forza di chiedersi Giovanna. No, forse gli avrebbe gridato: «Affare fatto!». Proprio così: affare fatto.
Il fast-food annesso alla Centrale è deserto; un’addetta sistema alcune sedie impilabili Ma non c’è il cartello L’uomo le rammenta qualcuno di familiare La fisionomia le ricorda quella di parenti emigrati negli Stati Uniti