Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Allarme Caritas: meno culle perché più poveri
Presentato il «Dossier 2017». Italiani oltre la metà degli assistiti. Sepe: il termine esatto è miseria
NAPOLI Sono sempre più povere le famiglie campane, tanto da non potersi permettere nemmeno di fare figli. L’identikit tracciato dal Dossier regionale sulle povertà 2017, curato dalla Caritas regionale e presentato ieri mattina a Pozzuoli è veramente sconfortante. I cittadini che sono stati aiutati dai centri di ascolto della Caritas nel 2016 sono stati in totale 24.000, sono soprattutto italiani (una percentuale in continua crescita che ha fatto registrare quest’anno un 64,6 del totale, nel 2008 era del 38,2). E sono soprattutto donne (54,7). Alle loro spalle ci sono famiglie che non arrivano alla terza settimana del mese, che non possono mantenere eventuali figli, né sostenere spese impreviste (nel 66,7% dei casi). Il tasso di natalità lo conferma: si è passati dall’11,4% del 2002 all’8,6 nel 2017. In 15 anni in Campania c’è stata una diminuzione delle nascite del 32,6%. Gli stranieri poveri rappresentano il 35,1% del totale, sono soprattutto ucraini, rumeni e bulgari, seguono marocchini e nigeriani. Rimane più o meno stabile il dato sulla povertà assoluta che resta però nel Mezzogiorno il più basso d’Italia (6,7% al Nord, 7,3% al Centro, 9,8% al Sud). Tra questi i più poveri sono i giovani fra 18 e 34 anni (10%) e i minori (12,5%). La povertà relativa, invece, è cresciuta nelle famiglie campane che sono passate da una percentuale di 17,6% nel 2015 al 19,5% nel 2016. E questo nonostante i dati Istat sul Pil regionale mostrino una Campania in crescita (il Pil è cresciuto del 2,2%). Secondo l’interpretazione dei dati, fornita dal sociologo Ciro Grassini, questo significa che se la ricchezza nella nostra regione è moderatamente cresciuta, essa ha riguardato le famiglie che già erano benestanti, mentre quelle povere lo sono sempre di più. Il Dossier lo conferma: i due terzi delle famiglie che si rivolgono alla Caritas vivono con meno di 500 euro al mese. Sono famiglie che hanno in media 2/3 figli, nell’80,2% dei casi hanno un minore e nel 20,5% un disabile. I cosiddetti nuclei spezzati (vedovi, separati o divorziati) rappresentano il 23,4%, di questa situazione sono vittime particolarmente i padri separati che nonostante abbiano un lavoro rischiano di finire a vivere per strada. Per quanto riguarda il livello di istruzione degli utenti Caritas (sia italiani che stranieri), il 42,7% ha la licenza media inferiore, il 20,9 quella elementare, i diplomati sono il 22,2%, i laureati il 3,1%, gli analfabeti il 2,1%. Sono nel 66,6% dei casi disoccupati. Ai centri di ascolto le famiglie campane chiedono soprattutto pacchi viveri (49,5%) pagamento di bollette (31,9%) l’alloggio (17,0%), l’accesso a market solidali (15,8%) il lavoro (14,2%) l’accesso alle mense (13,3%) e il vestiario (8,2). «Più che di povertà, bisogna parlare oggi di miseria – ha detto Il cardinale Sepe commentando i dati - di fronte a persone che non hanno il minimo indispensabile per una sopravvivenza degna. I nostri giovani sono più poveri dei loro padri e dei loro nonni, molti non hanno mai visto un lavoro e per disperazione o vanno fuori oppure si aggregano alle associazioni malavitose che li sfruttano e li condannano a morte». All’incontro, cui hanno preso parte anche il vescovo di Pozzuoli, mons. Gennaro Pascarella, e il vescovo di Acerra, mons. Antonio Di Donna, delegato della Conferenza episcopale campana per la carità, non era presente nessun rappresentante della Regione. Di Donna lo ha sottolineato: «Evidentemente alla Regione Campania non interessa la povertà delle nostre famiglie. La Caritas sta diventando un’agenzia di welfare ma la Chiesa non può continuare a supplire ai compiti istituzionali, anche se è nella sua natura esercitare la carità».
Il cardinale Crescenzio Sepe Di fronte a persone che non hanno nemmeno il minimo per sopravvivere più che di povertà parlerei di miseria