Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Scienza
Ma piuttosto pretenda di ridisegnare completamente un’istituzione che ha uno straordinario passato alle spalle, e perfino un presente, che nonostante condizioni ambientali non propizie continua a riservare piacevoli sorprese, ma che rischia di non essere più adeguata al prossimo futuro.
Come possiamo pensare che a 30 anni di distanza dalla sua fondazione, un’idea basata sulle forme e le modalità di diffusione dei saperi,quale quella che ha guidato in questi decenni la struttura di Coroglio , e che è rimasta ,nei suoi meccanismi fondamentali, sostanzialmente identica all’origine, possa ancora rimanere intatta con gli tsunami che anno sconvolto radicalmente proprio i mondi dei saperi e dei circuiti comunicativi?
I due segmenti che costituiscono l’attività della Fondazione Idis, il museo come macchina pedagogica, e il comparto dell’incubatore e della logistica culturale, inevitabilmente oggi mostrano chiaramente la propria età.
Per il museo, possiamo ancora immaginare di rivolgerci ai ragazzi con un tono di promozione della scienza in quanto tale? Possiamo ancora giustificare un sistema di divulgazione dei processi del sapere per svelare i prodigi della ricerca? Possiamo ancora stupire giovani che dalle elementari cominciano a programmare e che nelle medie pensano a start up? Possiamo ancora impressionare bambini che hanno in tasca smartphone con unità di intelligenza artificiale?
Così come per essere motore di un reale processo di innovazione creativa e produttiva davvero oggi basta essere infrastruttura logistica e non invece terreno di contaminazione diretta di soluzioni e di tecnologie di base su cui innestare progetti d’impresa? Insomma essere impresario più che pedagogo?
Per rifarci ad esempi concreti io credo che Napoli e la Campania abbiano bisogno oggi, grazie a quanto in questi decenni Città della Scienza ha fatto maturare, di un driver più stimolante della competizione. Qualcosa più simile all’istituto Italiano di tecnologia di Genova che al museo della scienza e della tecnica di Milano. O qualcosa che si connetta magari al progetto Human Technology che dovrà occupare gli spazzi di Milano expo, creando una sinergia virtuosa per l’intera filiera biotecnologica che a Napoli vanta poli di primaria importanza.
Un altro filone che potrebbe essere connesso al nuovo progetto di Città della Scienza riguarda i linguaggi dell’immateriale. Napoli e la Campania sono oggi un territorio di primaria importanza da questo punto di vista. Una delle poche realtà, non solo in Europa, che producono l’immaginario che distribuiscono: musica, teatro, cinema, narrazioni, stili di vita. Il know how campano oggi è forse la vera matrice di quella gigantesca domanda di esperienze che stanno affollando le città della regione con flussi turistici che sembrano incredibili e ingiustificati.
Questi primati devono però oggi essere sostenuti con una strategia che metta in campo linguaggi, piattaforme e grammatiche comunicative, che non possono essere mutuate , o peggio appaltate a gruppi esterni, titolari di software, algoritmi e culture che non sono specifiche di questi territorio. È lo sforzo che sta avviando la Scabec, come società regionale che progetta le nuove piattaforma di relazione per i beni culturali.
In questa direzione sarebbe essenziale un centro di convergenza delle culture, che possa far ibridare linguaggi, e saperi umanistici con competenze scientifiche. È questa la specificità tecnologica campana: un software con un anima. È il motivo per cui Apple sceglie Napoli e la Federico II come partner.
Si tratta di rimodulare quell’astronave che rimane parcheggiata di fronte a Nisida per orientare e indirizzare forse più adeguatamente le sue risorse :lo spazio espositivo, la capacità di architettare forme del sapere e il suo incubatore di impresa, e ancora, le sue relazioni internazionali .
Finalizzare ad una strategia di servizio per il territorio tutto questo significa girare pagina: non perché i soci fondatori litigano, ma perché quella eredità non è più sufficiente. Con la responsabilità di salvaguardare l’unica vera esperienza che a bagnoli prefigura un reale sviluppo alternativo dopo la chiusura della fabbrica,
È questo il papero che vedo nuotare a Coroglio. docente di Culture Digitali
Università Federico II