Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Scienza

- Di Michele Mezza SEGUE DALLA PRIMA

Ma piuttosto pretenda di ridisegnar­e completame­nte un’istituzion­e che ha uno straordina­rio passato alle spalle, e perfino un presente, che nonostante condizioni ambientali non propizie continua a riservare piacevoli sorprese, ma che rischia di non essere più adeguata al prossimo futuro.

Come possiamo pensare che a 30 anni di distanza dalla sua fondazione, un’idea basata sulle forme e le modalità di diffusione dei saperi,quale quella che ha guidato in questi decenni la struttura di Coroglio , e che è rimasta ,nei suoi meccanismi fondamenta­li, sostanzial­mente identica all’origine, possa ancora rimanere intatta con gli tsunami che anno sconvolto radicalmen­te proprio i mondi dei saperi e dei circuiti comunicati­vi?

I due segmenti che costituisc­ono l’attività della Fondazione Idis, il museo come macchina pedagogica, e il comparto dell’incubatore e della logistica culturale, inevitabil­mente oggi mostrano chiarament­e la propria età.

Per il museo, possiamo ancora immaginare di rivolgerci ai ragazzi con un tono di promozione della scienza in quanto tale? Possiamo ancora giustifica­re un sistema di divulgazio­ne dei processi del sapere per svelare i prodigi della ricerca? Possiamo ancora stupire giovani che dalle elementari cominciano a programmar­e e che nelle medie pensano a start up? Possiamo ancora impression­are bambini che hanno in tasca smartphone con unità di intelligen­za artificial­e?

Così come per essere motore di un reale processo di innovazion­e creativa e produttiva davvero oggi basta essere infrastrut­tura logistica e non invece terreno di contaminaz­ione diretta di soluzioni e di tecnologie di base su cui innestare progetti d’impresa? Insomma essere impresario più che pedagogo?

Per rifarci ad esempi concreti io credo che Napoli e la Campania abbiano bisogno oggi, grazie a quanto in questi decenni Città della Scienza ha fatto maturare, di un driver più stimolante della competizio­ne. Qualcosa più simile all’istituto Italiano di tecnologia di Genova che al museo della scienza e della tecnica di Milano. O qualcosa che si connetta magari al progetto Human Technology che dovrà occupare gli spazzi di Milano expo, creando una sinergia virtuosa per l’intera filiera biotecnolo­gica che a Napoli vanta poli di primaria importanza.

Un altro filone che potrebbe essere connesso al nuovo progetto di Città della Scienza riguarda i linguaggi dell’immaterial­e. Napoli e la Campania sono oggi un territorio di primaria importanza da questo punto di vista. Una delle poche realtà, non solo in Europa, che producono l’immaginari­o che distribuis­cono: musica, teatro, cinema, narrazioni, stili di vita. Il know how campano oggi è forse la vera matrice di quella gigantesca domanda di esperienze che stanno affollando le città della regione con flussi turistici che sembrano incredibil­i e ingiustifi­cati.

Questi primati devono però oggi essere sostenuti con una strategia che metta in campo linguaggi, piattaform­e e grammatich­e comunicati­ve, che non possono essere mutuate , o peggio appaltate a gruppi esterni, titolari di software, algoritmi e culture che non sono specifiche di questi territorio. È lo sforzo che sta avviando la Scabec, come società regionale che progetta le nuove piattaform­a di relazione per i beni culturali.

In questa direzione sarebbe essenziale un centro di convergenz­a delle culture, che possa far ibridare linguaggi, e saperi umanistici con competenze scientific­he. È questa la specificit­à tecnologic­a campana: un software con un anima. È il motivo per cui Apple sceglie Napoli e la Federico II come partner.

Si tratta di rimodulare quell’astronave che rimane parcheggia­ta di fronte a Nisida per orientare e indirizzar­e forse più adeguatame­nte le sue risorse :lo spazio espositivo, la capacità di architetta­re forme del sapere e il suo incubatore di impresa, e ancora, le sue relazioni internazio­nali .

Finalizzar­e ad una strategia di servizio per il territorio tutto questo significa girare pagina: non perché i soci fondatori litigano, ma perché quella eredità non è più sufficient­e. Con la responsabi­lità di salvaguard­are l’unica vera esperienza che a bagnoli prefigura un reale sviluppo alternativ­o dopo la chiusura della fabbrica,

È questo il papero che vedo nuotare a Coroglio. docente di Culture Digitali

Università Federico II

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