Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL RITORNO DEL PARTITO PERSONALE E LA DESTRUTTURAZIONE SOCIO-POLITICA
Sembrava che il tempo del partito personale fosse tramontato e che, sia pure tra incertezze e oscillazioni, ritorni e irrequietezze varie, si andasse lentamente verso una faticosa ricostruzione del tessuto politico nazionale. Sembrava, cioè, che si venissero a ricostruire associazioni e gruppi politici fondati su comuni finalità politiche, sociali, economiche, culturali o d’altro genere non riassunte, né rias- sumibili nel nome di un capo, nel nome di un singolo uomo politico, a garanzia di una sostanza comunitaria del fenomeno associativo. Si presumeva, per questo, che una partecipazione legata a motivazioni di ordine oggettivo e generale dovesse riuscire più solida, più stabile, più coinvolgente e personalizzata di quanto non potesse riuscire un impulso associativo rimesso unicamente alla figura di un capo, e quindi suscettibile di tutte le mutevolezze e le precarietà che le fortune e le sfortune di una singola persona inevitabilmente, e, soprattutto, alla lunga, comportano. Si parlava, perciò, anche di «partiti di massa», con una espressione discutibile e inaccettabile senza varie osservazioni e precisazioni, ma chiara nel suo significato di forma sociale di organizzazione politica.
D’altra parte, gli andamenti della vicenda politica italiana facevano desiderare in modo particolare, anche al di là della questione del partito personale e di ciò che se ne può pensare, la ricostituzione del tessuto politico cui si è accennato. Col disfacimento dei vecchi partiti è, infatti, venuto meno in Italia, da almeno un ventennio, uno dei pochi fattori di aggregazione sociale attivi nel paese a compenso del suo tradizionale, irriducibile, sempre e ovunque ricorrente individualismo, particolarismo o debole socialità e renitenza degli italiani alla disciplina imposta dalla vita sociale. È una constatazione antica, che trovò nell’Italia dei Comuni il suo maggiore riscontro storico, e che anche nelle monarchie dell’Italia centro-meridionale e insulare trovò ugualmente modo di farsi valere. Ciò contrastava con altri numerosi e importanti aspetti della vita sociale italiana, che la configuravano come propria di una società conformista, molto gerarchizzata, aliena dal contrastare le norme imposte dai poteri di qualsiasi genere presenti nella sua vita sociale. E, benché questa dicotomia di comportamenti fosse presente anche altrove, era in Italia che, a giudizio generale, la si trovava tale da potersene fare un generalmente riconosciuto carattere nazionale.
Realizzata l’unificazione nazionale, la politica e il sindacato portarono nel corso del tempo una forma moderna di socialità, della quale non vi erano prima, molti punti di appoggio e molti elementi favorevoli a un suo forte radicamento. E, comunque, sopravvenuta la crisi europea della fine del ‘900 col connesso crollo delle ideologie che ne avevano favorito la diffusione anche in paesi di suo non facile attecchimento, come l’Italia, la dispersione di quel tanto di moderna socialità che vi aveva attecchito è stata facile e rapida. Se c’era paese europeo predisposto al partito personale, l’Italia certamente lo era. Era, tuttavia, sembrato che a un certo punto si riprendesse un certo cammino più conforme alle esigenze di una diversa politica, dopo che si era parlato di «stagione dei sindaci», di «partito-azienda», di «partito (e governo) dei leader» e di altre formule riportabili a quella del partito personale. E si è, quindi, tornati alla continuazione o all’accentuazione della destrutturazione socio-politica che il partito personale fatalmente comporta.
I segni che se ne vedono sono eloquenti, a cominciare dall’astensionismo elettorale (a Ostia ha votato in ultimo un terzo degli elettori) e dai termini che assume la lotta politica all’interno dei partiti (in quello democratico, ad esempio, Renzi è, allo stesso tempo, il maggiore fattore aggregante della sua maggioranza e il maggiore fattore aggregante dell’opposizione di coloro che sono usciti dal partito, mentre nella più che probabile combinazione di centro-destra il punto di maggiore frizione è nella renitenza dei Salvini e Meloni ad accettare la primazia, che sembra fatale, del risorto Berlusconi).
Ci si può dire: voi volete allora il ritorno ai vecchi partiti ideologici, alla loro disciplina, alle loro gerarchie? Ma rispondere è facile, perché il problema non è questo. Quei vecchi partiti sia nell’Italia prefascista, sia nell’Italia postfascista si dimostrarono capaci di mobilitare e portare a un militante interesse per la politica grandi masse di cittadini anche in regioni e zone – come quelle del Mezzogiorno – in cui le condizioni erano più difficili per un tale obiettivo, che realizzarono nel segno di grandi idee anche quando non furono alieni dal culto di grandi e piccole personalità.
Questo, per l’appunto, è il problema della disorientata e sfiduciata Italia attuale: ritrovare un’idea, un progetto, una vocazione e la relativa missione, una fiducia se non una fede. Chi pensa che gli elettori tornino in massa alle urne senza di questo, si illude. La situazione politica italiana è più grave di quanto appaia. Siamo al punto che Scalfari con argomenti discutibili, ma certo non improvvisati, trova che si possa o si debba votare Berlusconi come un meno peggio. C’è bisogno, quindi, di provvedervi, e questo non si può fare col partito personale. Proprio la vicenda di Berlusconi (chi bene vi ci pensi) ce lo insegna.