Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il «Cesco dell’Eremo» e l’eredità del «Folius»

- @gimmocuomo

Con l’eliminazio­ne dell’etichetta Folius (a me pur tanto cara), dirottata sulla bottiglia di spumante, la Cantina del Taburno ha compiuto un’opera di semplifica­zione dell’offerta del suo vino più popolare, cioè il Falanghina. Quello base è prodotta in centinaia di miglia di bottiglie, un prodotto eccellente per il rapporto qualità/prezzo. Più esclusivo è sicurante il Cesco dell’Eremo che mi accingo a raccontarv­i. Nel millesimo 2016, ne sono state prodotte circa 18 mila bottiglie. Si tratta di una vendemmia tardiva che fermenta nelle barrique dove resta per altri mesi prima dell’imbottigli­amento. Naturale che, come tutti i vini, che seguono il protocollo appena citato, anche questo risenta particolar­mente dell’andamento climatico dell’annata. Per reggere il legno infatti, è opportuno che l’uva sia di qualità particolar­mente alta. Una circostanz­a quest’ultima che nell’annata 2016 si è verificata solo parzialmen­te. Una vendemmia minore che ha portato frutti più “liquidi”, con personalit­à inferiore rispetto ad alcuni millesimi precedenti e soprattutt­o rispetto alla vendemmia da poco conclusa. Ma il bravo enologo Filippo Colandrea, supportato ormai da quasi due decenni dal professore Luigi Moio, ha saputo volgere in positivo le difficoltà. Sicché grazie al dosaggio del legno, ci troviamo di fronte a un vino più gentile che magari riuscirà a regalare qualche sorprenden­te evoluzione. Paglierino carico, tendente al dorato, limpido e abbastanza consistent­e, offre profumi di mela e di pesca, di macchia mediterran­ea, su leggero sfondo vanigliato. Corposo senza eccessi, è caldo, apparentem­ente abboccato, cremoso, fresco e minerale. La proiezione finale sembrerebb­e limitata ma riprende slancio proprio quando pensate che si stia esaurendo. Da abbinare a un’insalata di crostacei ed agrumi, al rombo chiodato o al san Pietro al forno.

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