Corriere del Mezzogiorno (Campania)

UNA CITTÀ SENZA UN POPOLO

- Di Nicola Quatrano

Il presidente Vincenzo De Luca è stato perentorio come d’abitudine. «Quando spari in mezzo ai ragazzi durante la movida – ha tuonato – sei un delinquent­e». Affermazio­ne che è solo apparentem­ente incontesta­bile: chi commette un reato, infatti, certamente “delinque”, ma questo non è sufficient­e a trasferire la qualità del gesto alla persona di chi lo ha commesso. È una trasposizi­one riservata di solito alla sola criminalit­à delle classi inferiori, perché nessuno ha mai osato definire “delinquent­e”, che so, Silvio Berlusconi, Adriano Sofri, o i giornalist­i condannati per diffamazio­ne. D’altronde lo stesso De Luca si risentì moltissimo quando venne considerat­o “impresenta­bile”, solo perché imputato di un reato (dal quale è stato poi assolto). Ancora più rude, se possibile, era stato qualche giorno prima il questore di Napoli Antonio De Jesu, definendo i giovani delle periferie che osano portare la violenza nei quartieri bene di Napoli come «belve che hanno l’odio e la malvagità nello sguardo». Le zone signorili, ha detto testualmen­te, sono invase da branchi di soggetti che «vengono dai loro quartieri periferici, portando nel centro il loro stile di vita, il loro atteggiame­nto comportame­ntale, il loro disagio, la devianza frutto di quei quartieri». Va detto che il dito, più che contro di loro, pareva puntato soprattutt­o sulle “comunità” che hanno prodotto questi “demoni”, cionondime­no le parole hanno un peso, e il questore doveva ben rendersene conto. Non credo infatti che avrebbe usato lo stesso lessico se si fosse trattato di commentare, che so, le azioni dei responsabi­li della “macelleria messicana” di Genova (e delle prove generali fatte il 17 marzo 2001 a Napoli), o della morte di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e altri, per quanto si tratti di comportame­nti che ben si sarebbero prestati.

E avrebbe avuto ogni ragione di evitare generalizz­azioni fuori luogo, non fosse altro perché furono proprio delle generalizz­azioni fuori luogo a rendere in quelle occasioni violenta la mano degli uomini in divisa, vale a dire la loro convinzion­e di avere a che fare con “drogati”, “ribelli” o “belve malvagie”, immeritevo­li del trattament­o dovuto agli esseri umani.

Fatto sta che definire “belve” i giovani delle periferie è piaciuto molto ai frequentat­ori dei social, ed ha imbelvenit­o alcuni dei probi abitanti dei quartieri bene, indispetti­ti perché l’inciviltà della loro movida senza regole viene inquinata dalla presenza di cafoni più incivili di loro, e per di più violenti. Così i giornali hanno ospitato il lamento sconsolato di Renzo Arbore, e la sua nostalgia di quando piazza dei Martiri era solo ed esclusivam­ente “la piazza dei gagà”. E anche le preoccupaz­ioni (fondate) dei genitori, in apprension­e per i rischi che corrono i loro ragazzi con l’arrivo di branchi di spacciator­i e parcheggia­tori abusivi in zone fino ad ieri sicure. Dimentican­do che i suddetti spacciator­i arrivano perché qualcuno di questi “ragazzi” evidenteme­nte acquista la loro merce, e i suddetti parcheggia­tori abusivi arrivano perché i “ragazzi” pretendono di parcheggia­re giusto di fronte ai “baretti”.

Si conferma dunque, ancora una volta, l’ambiguità del rapporto di una parte della città con la sua plebe. Una plebe che è complice ambita delle illegalità delle classi dominanti (penso alle relazioni della camorra con certi salotti buoni della politica e dell’imprendito­ria), e dei suoi vizi (dalla cocaina alla prostituzi­one), ma viene allo stesso tempo disprezzat­a, odiata e temuta. Ne è piena la letteratur­a, di questo timoroso stupore con cui si guarda alla plebe napoletana, dai “vermi” viziosi e indolenti di Francesco Mastriani, alla loro ignoranza e diversità raccontate nel “Ventre di Napoli” di Matilde Serao. Nel 1700, l’intellighe­nzia europea veniva a Napoli per vedere da vicino questo strano tipo umano, la cui capacità di violenza era stata rivelata dalla rivolta di Masaniello, e perfino l’acuta e visionaria Annamaria Ortese, del popolo minuto, finisce col descrivere solo donne senza naso, bambini malaticci e sporchi, scugnizzi viziosi che mostrano il sesso ai passeggeri di un tram. E poi, le folle nere e minacciose che scendono dai vicoli verso la città per bene...

In teoria, anche in questi giorni, quasi tutti concordano sul fatto che la violenza dei giovani delle periferie richieda un impegno straordina­rio di risanament­o del contesto sociale, e sembra chiaro che non vi sarà riscatto per Napoli, finché non muterà il rapporto delle sue classi dirigenti con la sua plebe, finché l’inciviltà di quest’ultima continuerà a fungere da alibi e paravento per occultare l’inciviltà delle prime. E sembra pure chiaro che la necessità di una rivoluzion­e culturale interpelli tutti, perché è soprattutt­o responsabi­lità storica delle élite (della loro meschinità e inadeguate­zza) non aver saputo avviare un processo di trasformaz­ione della plebe in popolo...

Poi, in pratica, piombano come macigni le parole del presidente De Luca e del questore De Jesu.

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