Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I negativi che abbiamo adottato Dopo Eduardo, «spunta» il filosofo
Èstato un gioco formativo partecipare alla benemerita iniziativa di crownfunding, ancora in corso, che ha come scopo l’adozione e la messa in salvo dell’Archivio di immagini del fotografo Riccardo Carbone, le quali dipanano, nei tantissimi pacchetti di negativi, almeno un cinquantennio di storia di Napoli. Il significato di questo finanziamento collettivo è per molti versi esemplare, incoraggiante ad altre consimili imprese, poiché coinvolge nella democrazia dell’interesse culturale una rete di appassionati e di esperti, di amatori e di specialisti, una variegata comunità civile che crede con semplicità attiva nel valore della storia, e della propria storia prossima raccontata dalle immagini.
Per quanto concerne il corpus crociano, esso si è rivelato più ricco di sviluppi, si può ben dire, di quanto io e Natascia Festa, socie per l’occasione, avessimo sperato. I 36 negativi restituiscono tre momenti. L’incontro con Nenni nel gennaio 1947 per discutere la grave questione della ratifica del trattato di pace — registrato con dovizia di particolari nei Taccuini di lavoro — è fermato in una pausa di conversazione nello studio del filosofo. In occasione di un precedente incontro con Nenni, avvenuto a Roma, Croce scriveva: «I socialisti, anche rivoluzionari, sono altra cosa dai comunisti: sono uomini e sono italiani». Qualcosa di questa sostanziale sintonia umana trapela negli scatti del 1947.
E c’è la visita insieme con la sua «Adelina» alla inaugurazione di una mostra di pittura nella sede del Partito Liberale al Vomero nel marzo dello stesso anno: anche in questo caso se ne ritrova la puntuale annotazione diaristica. Qui le fotografie dicono qualcosa di più, perché accanto alle figure di spicco del liberalismo napoletano, emerge la presenza normale e normalizzatrice, affettuosa e protettiva, della signora Adele, con in mano una borsa di servizio e un mazzetto di fiori. Ecco infine il penultimo compleanno, il 25 febbraio 1951, in tre foto dove in un angolo della «stanza a due piani» il filosofo compare con la figlia Silvia, padre Cilento, Alfredo Parente, Antonino Bruno e il professor Giuseppe Sarno, fratello del segretario di Croce Giovanni Sarno.
Sono gli ultimi anni di una biografia straordinaria, anni faticosi e dolorosi, con un carico di Storia grande che lo vede, ormai vecchio, vero garante della dignità italiana nella sconfitta, protagonista della vita politica eppure sempre intento ai suoi studi.
Certo sarà difficile, per uno studioso del mondo crociano, imbattersi in immagini del tutto inedite, ma colpisce la ricchezza di scorci e profili che attrassero personalmente il fotografo, e perciò in misura maggiore o minore non identificabili con le pose ufficiali. A me pare che perciò esse parlino allo spettatore in modo vivido e sorprendente. Appartengono al back-stage del fotografo, ed anzi nelle foto mosse o sbagliate si ha l’impressione di cogliere una sequenza, di partecipare alla costruzione dell’immagine buona da una prospettiva laterale e nascosta che sembra aprire uno squarcio sul passaggio segreto tra cronaca e storicità latente.
Ad attestare la passione dello stesso filosofo e storico per il valore conoscitivo ed evocativo delle immagini, si vuole ricordare che nel 1888 il giovane Croce si era arrampicato all’ultimo piano di un antico palazzo di via Foria, dove il fotografo Lamarra conservava il dagherrotipo ricavato da un quadro della Sanfelice, andato perduto. «Non sapendo come entrare in relazione col Lamarra, — avrebbe scritto nel 1938 — mi risolsi a montare all’ultimo piano di quella casa di via Foria e presentarmi a lui come un cliente che desiderava farsi il ritratto. Così, durante la seduta, conversando con lui, gli domandai della fotografia del ritratto della Sanfelice ed egli me la mostrò. Non osai chiedergliene una copia: era la stessa che poi il Di Giacomo pubblicò nel Catalogo della mostra del cinquantenario dell’Unità fatta in Napoli nel 1911». Di quella copia desiderata Di Giacomo, a sua volta amante dell’arte fotografica, gli fece dono affettuoso.