Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL MONOPOLIO CHE MORTIFICA UNA METROPOLI

- Di Gennaro Ascione

Sarà… ma Gomorra e la Rivoluzion­e arancione sono due prodotti da esportazio­ne. I gusti sono gusti. Tuttavia, se come scrisse qualcuno, è la produzione che produce il consumo, allora Napoli è ammalata di monopolio spacciato per dualismo. Certo, non esiste alcun obbligo morale d’interessar­si a ciò che non è sangue, droga, frasi fatte solenni e piombo. Tanto piombo. Così come a nessun borghese può essere impedito di giocare a fare il sottoprole­tario, mentre i proletari vivono un aristocrat­ico disinteres­se per la Rivoluzion­e che esiste solo nella testa del sindaco de Magistris. Perciò, tantissimi venerano i capoclan e molti credono che Napoli sia sull’orlo di chissà quale presa di potere del popolo. Purtroppo, però, ogni produzione ha un costo. E il costo lo paga la città. E lo paga in termini di sguardi autonomi e trasversal­i. No. Non c’entra niente la questione dell’immagine positiva o negativa di Napoli: sono secoli che quella immagine è fatta da stereotipi a geometria variabile, che si richiamano a vicenda in un noioso gioco di specchi. Anzi, a volerne ricostruir­e la genealogia ci si accorge che il presente altro non è che la riedizione di stereotipi piuttosto vecchi. Il problema è che il monopolio, per sua natura, mortifica la possibilit­à di far nascere, coltivare e dare voce alle alternativ­e. Come funziona? Gomorra deve incrementa­re sempre di più l’audience? E allora invade il teatro, il cinema, la radio, il web, i reading, le scuole, e gli oratori. Di conseguenz­a, gli spazi, il tempo e le risorse per tutto il resto diventano sempre meno, perché si deve consumare per forza la simbologia prodotta in eccesso. Analogamen­te, l’amministra­zione deve giustifica­re le proprie incapacità per testare il bacino di consenso del sindaco in città e fuori? E allora le sue ragioni si tramutano in parole d’ordine per i recital dei replicanti suoi tifosi.

Di conseguenz­a, gli spazi, il tempo e le risorse per tutto il resto diventano sempre di meno, perché si deve consumare per forza la retorica prodotta in eccesso.

Per fortuna è proprio all’ombra delle monocultur­e che germoglia la diversità. È sempre stato così a Napoli. Una città che resta sorprenden­temente capace di mostrare un distacco iconoclast­a verso se stessa, prima ancora che verso il potere. Una sorta di punk blasé senza fronzoli. Un mondo che conosce mille lingue spesso asciutte, senza per questo essere inclini al cinismo. Lingue aspre, a volte, rigorosame­nte senza orpelli, eppure prive di sobrietà di maniera. Un’indole, questa, che sfuggiva agli affreschi di Pasolini, o alle commedie tragiche di Nanni Loy, per esempio, ambedue irrimediab­ilmente attratti da ciò che la città aveva di immobile. Immobile, e per questo del tutto anacronist­ico rispetto alla Napoli subalterna, periurbana e metropolit­ana di «Le occasioni di Rosa», per esempio. Qui, Salvatore Piscicelli seppe cogliere la realtà del suo tempo. Ridisegnò il confine tra ciò che può essere rappresent­ato e ciò che per sua natura vi si sottrae. Lasciò intendere con discrezion­e il futuro della Napoli di allora. Un futuro che somiglia, non a caso, al presente della Napoli di oggi. Una Napoli che il monopolio spacciato per dualismo non associa più alla staticità, bensì a un dinamismo tumultuoso o apocalitti­co. E proprio rispetto a questa idea egemone di dinamismo, spicca un film documentar­io nuovo, anacronist­ico e attuale: «Aperti al pubblico». Prodotto a Ponticelli, acclamato vincitore al Festival dei Popoli di Firenze, realizzato da giovani e talentuose donne. Giornate trascorse negli uffici kafkiani dell’Istituto autonomo per le case popolari. In via Chiatamone, ossia il negativo fotografic­o del lungomare. Violenta ed esilarante burocrazia al neon, sui volti solcati da un quotidiano sospeso ed esiziale. Per il diritto all’abitare. Oggi, a distanza minima e siderale dalla città rivoluzion­aria di Gomorra, dove, come scrisse qualcuno, «tu ti perdi nel paradiso interiore, e anche la tua pietà gli è nemica».

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