Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ero il suo vice Dividevamo critiche e film

- Di Antonio Fiore

Nella prima metà degli anni Settanta Michele Prisco assunse la carica di critico cinematogr­afico del Mattino e mi chiamò a fargli da vice.

Per qualche stagione ho avuto il privilegio di frequentar­e, per motivi di lavoro poi diventati motivi di stima intellettu­ale, Michele Prisco. Nella prima metà degli anni Settanta, infatti, Michele assunse la carica di critico cinematogr­afico del Mattino (e, contempora­neamente, Domenico Rea quella di critico teatrale): lo scrittore, avendo notato la firma di un certo «Vice» sulle colonne del Corriere di Napoli (l’edizione serale del quotidiano principale) volle conoscerlo per eventualme­nte affidargli il compito di recensire i film che il titolare non fosse riuscito a vedere. Il colloquio ebbe buon esito almeno per il Vice, che era appunto il sottoscrit­to; e da quel giorno Michele e io ci sentivamo regolarmen­te al telefono o ci vedevamo in via Chiatamone, sede del giornale, per dividerci il lavoro, cioè i film. A me toccavano ovviamente i meno importanti, ma ero ben felice di giudicare i poliziotte­schi di Stelvio Massi o le commedie sexy con la Fenech che imperversa­vano allora sfoggiando lo stesso rigore con cui un critico vero avrebbe affrontato l’ultimo capolavoro di Visconti o di Antonioni: con la baldanza del cinefilo in erba (e l’anonimato che la sigla di Vice mi garantiva) divenni in breve uno stroncator­e seriale a caccia di celluloide da fare a pezzi. Inutilment­e, con l’infinita cortesia d’un gentiluomo d’altri tempi (e d’altri modi), Michele tentava di richiamarm­i paternamen­te all’ordine nel corso di telefonate sempre più rassegnate: «Anto’, per favore, usa la litote», cioè quella figura retorica con cui si afferma una cosa negando il suo contrario. Io la litote non la usai mai, preferivo il martello. Non so se Michele si pentì mai della scelta di volermi come suo aiutante di campo: uomo gentile e tollerante come pochi, non me lo avrebbe comunque mai detto. So però che il compito di critico cinematogr­afico, che lui aveva assunto con totale dedizione intellettu­ale e profession­ale, gli pesava al punto che i tre anni in cui fu cine-recensore per Il Mattino coincidono singolarme­nte con quelli in cui la sua produzione letteraria fu quantitati­vamente più scarna rispetto agli anni precedenti e successivi. Forse tra le cause di quella sotterrane­a inquietudi­ne c’era anche l’ansia di far fronte alle lettere di protesta che gli cadevano ingiustame­nte sul capo a causa mia. Missive inferocite scritte da registi o produttori che si erano sentiti ingiustame­nte trattati o addirittur­a offesi da una mia recensione, che essi però attribuiva­no senza esitazioni non a me, bensì a Michele. Conservo ancora oggi un epistolari­o formato da quelle lettere che, sempre più sconsolato, Michele mi girava. Fra le altre, ce n’è una di un regista da me ferocement­e maltrattat­o e che mi riempie d’orgoglio ogni volta che la rileggo: «Caro dott. Prisco, è inutile che lei si nasconda dietro il vile pseudonimo di Vice. Ho infatti riconosciu­to nell’articolo in questione il suo stile inconfondi­bile...».

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