Corriere del Mezzogiorno (Campania)
BARETTI SALOTTI E RAZZISTI
Sarebbe ora di porre fine alla sciocca e ridicola polemica circa il razzismo mostrato dai «napoletani dei salotti», cioè da quanti vivono nelle cosiddette «zone-bene» della città, verso i giovani che dalle periferie affollano i baretti di Chiaia o del Centro storico, di Posillipo o del Vomero. È una polemica pretestuosa che serve soltanto a chi ha interesse ad aumentare la conflittualità sociale dividendo in zone, ceti, classi, generazioni ecc. una città come Napoli: che per storia e tradizioni è sempre stata interclassista, tollerante e per nulla razzista. Cominciamo col dire che, da quando – e ormai da molto tempo – c’è stato il divorzio tra «cultura» e «patrimonio», è ridotto al lumicino il numero dei cosiddetti «intellettuali-snob» e «radical-chic» concentrati in quelle che una volta erano le zone-bene della città. Non si contano più infatti, in queste zone, i «ricchi-cafoni», ignoranti e pieni di soldi (talora di provenienza non tanto candida), e invece le persone «modeste-perbene» (insegnanti, impiegati, artigiani, commercianti ecc.), che vivono in zone considerate brutte e periferiche, da quando hanno visto scendere il potere d’acquisto del loro reddito da lavoro, e tengono però a mantenere onestà e dignità. Peraltro capita spesso di vedere, magari in televisione, sia sontuosi (e antiestetici) «salotti» di gente incolta, dislocati nelle zone (più o meno) bene della città, sia sobri «tinelli» signorili altrettanto equamente distribuiti in tutte le zone della città. È vero che i negozi più eleganti, di marche famose e costose, sono per lo più concentrati a Chiaia.
Tuttavia, se ci si fa caso, i consumatori che più li frequentano, e comprano beni di lusso, provengono dai più diversi luoghi della città e della provincia e non sempre hanno l’aria di raffinati acquirenti; mentre sono molti i «signori» e le «signore» che fanno acquisti nei mercatini di Chiaia, di Posillipo e del Vomero. Non va poi trascurato il livello di manutenzione del territorio cittadino nel suo complesso: in ciò l’omologazione è totale, perché il degrado, l’abbandono e la sporcizia davvero non fanno questioni di classe e discriminazioni di zone. Che dire infine delle molestie acustiche – che partono dal mare e arrivano in collina – o dell’aria irrespirabile, causata dal traffico intenso, che sono costretti a subire gli abitanti nelle vicinanze del lungomare liberato, nei giorni festivi, specie d’estate (ma non solo), oppressi dal caos e dai ritmi ossessivi di brutte musiche. Il tutto con le prescritte autorizzazioni e concessioni comunali.
Una volta usciti dai luoghi comuni dei salotti buoni e dello snobismo di classe, è allora chiaro che l’intolleranza dei residenti nelle ex zone-bene nei confronti di gente rumorosa e maleducata, da qualsiasi parte provenga, non è dovuta alla volontà di difendere il proprio recinto privilegiato – e dove sta il privilegio? – o alla scarsa disponibilità all’accoglienza di persone estranee al proprio territorio, o ancora peggio a una sorta di razzismo endogeno, bensì alla naturale paura che si ripetano episodi come quello di due settimane fa: perché, se nella folla giovanile dei baretti s’intrufolano delinquenti armati di coltelli e pistole, il rischio per tanti nostri giovani non è più solo quello di subire fastidi e molestie o di prendersi a cazzotti, bensì quello di finire all’ospedale o peggio al camposanto. L’auspicio è che noi tutti, e tra noi specialmente i responsabili dell’ordine pubblico e del governo della città, facciamo di tutto per promuovere la coesione e la solidarietà tra i quartieri della città, facendo attenzione a tutelare l’equilibrio fra ceti, classi e territori e isolando con orrore chi alimenta il rancore sociale e ogni sorta di razzismo. Non ci stancheremo mai di ripetere che la sicurezza della convivenza dipende anzitutto dalla cultura: dalla formazione dei giovani e dalla saggezza dei vecchi.