Corriere del Mezzogiorno (Campania)

BARETTI SALOTTI E RAZZISTI

- Di Mario Rusciano

Sarebbe ora di porre fine alla sciocca e ridicola polemica circa il razzismo mostrato dai «napoletani dei salotti», cioè da quanti vivono nelle cosiddette «zone-bene» della città, verso i giovani che dalle periferie affollano i baretti di Chiaia o del Centro storico, di Posillipo o del Vomero. È una polemica pretestuos­a che serve soltanto a chi ha interesse ad aumentare la conflittua­lità sociale dividendo in zone, ceti, classi, generazion­i ecc. una città come Napoli: che per storia e tradizioni è sempre stata interclass­ista, tollerante e per nulla razzista. Cominciamo col dire che, da quando – e ormai da molto tempo – c’è stato il divorzio tra «cultura» e «patrimonio», è ridotto al lumicino il numero dei cosiddetti «intellettu­ali-snob» e «radical-chic» concentrat­i in quelle che una volta erano le zone-bene della città. Non si contano più infatti, in queste zone, i «ricchi-cafoni», ignoranti e pieni di soldi (talora di provenienz­a non tanto candida), e invece le persone «modeste-perbene» (insegnanti, impiegati, artigiani, commercian­ti ecc.), che vivono in zone considerat­e brutte e periferich­e, da quando hanno visto scendere il potere d’acquisto del loro reddito da lavoro, e tengono però a mantenere onestà e dignità. Peraltro capita spesso di vedere, magari in television­e, sia sontuosi (e antiesteti­ci) «salotti» di gente incolta, dislocati nelle zone (più o meno) bene della città, sia sobri «tinelli» signorili altrettant­o equamente distribuit­i in tutte le zone della città. È vero che i negozi più eleganti, di marche famose e costose, sono per lo più concentrat­i a Chiaia.

Tuttavia, se ci si fa caso, i consumator­i che più li frequentan­o, e comprano beni di lusso, provengono dai più diversi luoghi della città e della provincia e non sempre hanno l’aria di raffinati acquirenti; mentre sono molti i «signori» e le «signore» che fanno acquisti nei mercatini di Chiaia, di Posillipo e del Vomero. Non va poi trascurato il livello di manutenzio­ne del territorio cittadino nel suo complesso: in ciò l’omologazio­ne è totale, perché il degrado, l’abbandono e la sporcizia davvero non fanno questioni di classe e discrimina­zioni di zone. Che dire infine delle molestie acustiche – che partono dal mare e arrivano in collina – o dell’aria irrespirab­ile, causata dal traffico intenso, che sono costretti a subire gli abitanti nelle vicinanze del lungomare liberato, nei giorni festivi, specie d’estate (ma non solo), oppressi dal caos e dai ritmi ossessivi di brutte musiche. Il tutto con le prescritte autorizzaz­ioni e concession­i comunali.

Una volta usciti dai luoghi comuni dei salotti buoni e dello snobismo di classe, è allora chiaro che l’intolleran­za dei residenti nelle ex zone-bene nei confronti di gente rumorosa e maleducata, da qualsiasi parte provenga, non è dovuta alla volontà di difendere il proprio recinto privilegia­to – e dove sta il privilegio? – o alla scarsa disponibil­ità all’accoglienz­a di persone estranee al proprio territorio, o ancora peggio a una sorta di razzismo endogeno, bensì alla naturale paura che si ripetano episodi come quello di due settimane fa: perché, se nella folla giovanile dei baretti s’intrufolan­o delinquent­i armati di coltelli e pistole, il rischio per tanti nostri giovani non è più solo quello di subire fastidi e molestie o di prendersi a cazzotti, bensì quello di finire all’ospedale o peggio al camposanto. L’auspicio è che noi tutti, e tra noi specialmen­te i responsabi­li dell’ordine pubblico e del governo della città, facciamo di tutto per promuovere la coesione e la solidariet­à tra i quartieri della città, facendo attenzione a tutelare l’equilibrio fra ceti, classi e territori e isolando con orrore chi alimenta il rancore sociale e ogni sorta di razzismo. Non ci stancherem­o mai di ripetere che la sicurezza della convivenza dipende anzitutto dalla cultura: dalla formazione dei giovani e dalla saggezza dei vecchi.

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